L'analisi

Diritti degli animali, un’Italia «pet friendly» fa bene agli uomini

Fernanda Fraioli

Si riaffaccia l’idea di portare in ufficio i nostri amici a quattro zampe

La terminologia anglosassone non è un atteggiamento poco nazionalistico come tanti, ma ha motivazioni ben più profonde. Perché la pet terapy o l’appellativo pet friendly riferito ad uffici e aziende o la stessa «Giornata mondiale del cane in ufficio», sono state ideate proprio in Inghilterra. La mancanza di omologhi nella lingua italiana è indice certo dell’assenza di istituti simili nella normativa nazionale.

Quel che, invece, nel nostro Paese si rileva è la richiesta sempre più assordante della possibilità di portare il proprio animale al lavoro, rappresentando che assicurano benessere e rinforzo della relazione tra le due specie viventi.

Proprio loro che dalla riforma costituzionale del 2022, animali non sono più considerati, bensì «esseri senzienti non umani» - espressione direttamente mutuata dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che l’ha introdotta - o, per dirla col filosofo Vallauri, «fratelli biologici». Ai vecchi valori presenti in Costituzione, all’art. 9 accanto al principio della tutela dell’ambiente, degli ecosistemi, della biodiversità, si riscontra quella degli animali.

Correva l’anno 1996 quando la XIII Legislatura della Repubblica Italiana accanto a tutti questi temi affiancava quello della necessità di valutare differentemente gli animali, cominciando proprio dal riconoscimento di una loro dignità anche sulla spinta della giurisprudenza che si trovava periodicamente a doverne affrontare le problematiche, magari per dirimere controversie causate da comportamenti scorretti e/o non regolamentati di esseri non umani.

Nell’arco di un trentennio, però, anche se il dibattito sulla costituzionalizzazione della tutela degli animali si è incrementata, ha avuto quale unica direzione quella di arginare, mediante risposte sanzionatorie da parte dell’ordinamento, comportamenti contrari allo sfruttamento e, peggio ancora, al loro maltrattamento.

Ma l’espressione dell’art. 9 della Costituzione «La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali» è cosa che, sicuramente va al di là di quella che sembra essere una soluzione di compromesso tra la tutela sancita con la sanzione delle condotte offensive - che si è rivelata quale unica possibile al momento dell’approvazione della normativa - ed il riconoscimento di una sorta di soggettività animale che comporta anche quello ad un rapporto e alla disciplina dell’affettività con l’umano compagno, non più padrone.

Dalla difesa, allora, dell’essere senziente, quale entità da non sfruttare e/o maltrattare, l’auspicio di un passo ulteriore verso il riconoscimento di un coacervo di diritti e doveri non più antropocentrici, ma equilibrato, in favore dell’essere senziente animale-non umano dotato di «soggettività animale», che condivide con l’animale umano-uomo alcune prerogative degli esseri viventi, in primis il benessere psicofisico che rappresenta una delle 5 libertà enucleate dalla c.d.

Commissione inglese Brambell già nel lontano 1965 che rappresentano, ancora oggi, i requisiti minimi affinché un animale possa vivere una vita di qualità e, attesa la quotidiana vicinanza a volte perfino simbiotica con l’uomo, di riflesso anche di questi.

Dobbiamo, allora ritenere che la proposta annunciata da qualche parlamentare in questi giorni di riordinare le norme per consentire ai padroni di portare ovunque - ovvero in ufficio, ora riconosciuta soltanto a livello individuale e rigorosamente privatistico - i propri animali senza distinzione di sorta, debba leggersi quale norma di chiusura di un operazione iniziata da circa un trentennio e che pur sembrando di favore per i nostri amici a quattro zampe, appare forse molto più salvifica per il suo amico bipede.

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