La riflessione
La querela di Meloni a Canfora e l’eterna diatriba tra comunismo e fascismo
La querelle è giocata da Canfora sul terreno ideologico datato, duellando tra i vinti della storia. Il nazismo sconfitto da una guerra giusta e il comunismo crollato per implosione
Per principio siamo contro le querele per chi le fa e per chi le riceve, in specie, quando entrano in ballo la politica, la cultura e il giornalismo. Notiamo che ogni piè sospinto si ricorre alla querela, un modo come un altro, per avere ragione, sentendosi il querelante ferito nell’amor proprio dal querelato.
La querela di Giorgia Meloni a Luciano Canfora rientra in questa fattispecie e spieghiamo il perché siamo contrari. L’esimio professore accusò la leader di FdI di essere “neonazista nell’anima”, per il suo appoggio alle imprese del battaglione Azov in Ucraina, nel corso di una lectio magistralis al liceo Enrico Fermi di Bari. Di qui, partì la querela della Meloni, non ancora presidente del consiglio, a Canfora che ne dovrà rispondere il 16 aprile davanti al tribunale del capoluogo pugliese.
Diciamo la verità, il professore l’ha detta e l’ha fatta grossa e avrebbe potuta risparmiarsela. Così come avrebbe potuto non rilasciare l’intervista al quotidiano La Stampa per non esacerbare gli animi con le provocazioni, politicamente strumentali. Una sgrammaticatura bell’e buona e un comportamento che non ha attenuanti. Benché l’abbia messa a modo suo: “Neonazista nell’anima”. Una raffinatezza di grande filologo e troppo filologo per i gusti dell’attuale presidente del consiglio. Però sulla Stampa raddoppia le accuse: Meloni discende dal Movimento sociale erede della Repubblica di Salò che è stata satellite del Terzo Reich. Basta e avanza. Una querela, bensì, una doppia querela. Non abbiamo mai annoverato lo storico grecista come un “cattivo maestro” tuttavia, di questi tempi, si cala nel ruolo di salvatore della democrazia antifascista, rincarando la dose di pregiudizi ideologici e politici.
A ben vedere, la querelle è giocata da Canfora sul terreno ideologico datato, duellando tra i vinti della storia. Il nazismo sconfitto da una guerra giusta e il comunismo crollato per implosione.
La Meloni non ci sembra coinvolta dal “nazismo nell’animo”, semmai, è alla ricerca del vello d’oro della propria identità. Comunque, con buona pace del professore siamo nel pieno rispetto della “XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana vieta la riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista”. Sennonché, le accuse delle sue origini post MSI, piaccia o no, le piovono addosso. Per intenderci, quelle di Saviano, di Piovani e di tanti altri che non le mandano a dire sulla provenienza culturale e politica della Presidente del consiglio. Non tenendo conto che lei fa parte della cosiddetta “terza generazione”, come a dire lontana anni luce da quella tradizione. Sebbene ci sia qualche sacca ancora nostalgica in cui, a taluni scatta il riflesso pavloviano. Vallo a dire al professore che la presidente non è ascritta più a una ideologia battuta, dato che la maggioranza degli elettori italiani l’hanno votata, democraticamente, per governare. Insomma, per un capo di governo che rappresenta l’Italia fondatrice dell’Ue nonché partner del G7, continuare ad essere legata al cordone ombelicale della tradizione post fascista, sarebbe, hegelianamente parlando, una contraddizione in termini.
Da par suo, l’illustre storico si professa e si vanta di essere stalinista. E fu proprio Stalin a spingere a sottoscrivere il patto tra comunismo e nazismo, ossia Molotov e Ribbentrop, con la gioia di Hitler, fino a certo punto. Il ministro degli esteri sovietico e quello tedesco firmarono un “protocollo aggiuntivo” segreto sulla spartizione dell'Europa orientale, applicando una sorta di “manuale Cencelli”. Per non parlare lo Stalin dei Gulag, dello sterminio di popoli e delle “purghe ” giudiziarie mezzo per eliminare gli avversari politici.
Se dovessimo dirle tutte sul nazismo e sullo stalinismo, arriveremo alle Calende greche. Il paradosso è che mentre lei stende i panni di una destra nazional conservatrice a fascista, lui stende lo stalinismo e se ne vanta. Poiché non si fa mancare niente, è anche un putinista convinto. Il Putin che arresta gli avversari politici e fa fare loro la fine di Navanly.
Lungi da noi voler mettere la mordacchia al professore. La libertà di espressione è sacrosanta. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. In più, “tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. A nostro avviso, Canfora non ha le carte in regola per polemizzare con chi sia sia, visto che abbraccia lo stalinismo nonché il putinismo che si declina con il pacifismo a modo suo. Silenzio assordante sulla aggressione della Russia all’Ucraina e baccano contro l’Israele, non condannando il progrom di Hamas del 7ottobre.
Si corre il rischio che il 16 aprile l’aula del Tribunale di Bari diventi una piazza di comizio, in cui voleranno gli stracci ideologici da archivio e alcuno dei contendenti ne esce bene. Meglio che il professore chieda scusa e la premier ritiri la querela.