La riflessione
L’«autonomia disagiata» e quell’unità del Paese da ricostruire sull’Ofanto
Al centro della proposta leghista, sin dagli albori, c’è stata e c’è tuttora (benché sottaciuta) la «superiorità nordista» e la «minorità del Sud».
È da quando la Lega Nord scese nell’agone politico che si sente parlare della questione settentrionale. Esattamente, non parliamo della questione meridionale. Il motivo è uno: al centro della proposta leghista, sin dagli albori, c’è stata e c’è tuttora (benché sottaciuta) la «superiorità nordista» e la «minorità del Sud».
Teoria che dagli anni Ottanta ad oggi ha subito un drastico ridimensionamento pratico senza però che si abdicasse da Pontida all’idea principe. Per renderlo attualizzato potremmo parafrasare, in maniera ingentilita, così: «noi siamo la Padania, noi siamo il Nord e voi non siete alcunché» (Alberto Sordi docet).
Ebbene, alla base del risultato oggi sul piatto delle vicende politico-costituzionali del Paese c’è proprio la dimensione nuova della Lega che con il suo portato storico preoccupa il Meridione. A prescindere da chi è a favore o contro l’attualizzazione dell’autonomia differenziata, ci sono punti inamovibili da considerare:
- Con la riforma del Titolo V, operata circa vent’anni fa, il Mezzogiorno è uscito definitivamente dalla Costituzione italiana;
- Nell’aver concesso alle regioni di legiferare in diverse materie, l’autonomia differenziata rientrerebbe nella sfera del c.d. «decentramento amministrativo» (anche se così non è per i riflessi economici che avrebbe sui Lep) e non modificherebbe il potere normativo (anche perché occorrerebbe una revisione costituzionale);
- Se il potere legislativo rimane intatto significa che la materia sanitaria, ad esempio, era e rimane in capo alla potestà concorrente tra Regioni e Stato (ove, però, quest’ultimo può solo emanare principi fondamentali).
Da questi tre punti elencati sorge una riflessione più ampia: se lo spirito del Ddl sull’autonomia differenziata è comunque garantire la perequazione e il livellamento minimo tra regioni mediante i famosi Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), si tratta di un percorso costituzionale legittimo. Tuttavia è proprio su questa legittimità d’azione politica che occorre soffermarsi perché è da qui che cambiano le tecniche e le tattiche delle politiche pubbliche (sia d’investimento che di mera spesa compensativa).
Il fatto che il Ddl sull’autonomia differenziata sia un prolungamento attuativo dell’art. 116 della Costituzione non deve farci dimenticare, evidentemente, che quest’articolo della nostra Carta fondamentale è stato modificato vent’anni fa dal centrosinistra il quale cercò di evitare (idealmente) la crescita leghista negli animi nordisti e il relativo consolidamento della forza politica a paladina della dignità settentrionale (a dire di Pontida, contro un Sud assistito e improduttivo).
La modifica costituzionale di cui sopra, pertanto, è stata fatta davvero in maniera contorta nonché, specie per la materia sanitaria, disorientativa per la tenuta unitaria del Paese. Pensate non sia così? Sono i dati a confermarlo: venti sistemi sanitari diversi l’uno dall’altro con un risultato differenziale di 6 a 0 per il Nord (è l’Agenas per conto del Ministero della Salute a palesarlo nel report 2023).
Allora, se il gioco sull’autonomia differenziata è un percorso costituzionalmente legittimo non significa che esso sia anche un percorso lecito da un punto di vista di tenuta unitaria del Paese; ciò nel senso che quel seme iper-autonomista gettato nella Costituzione, con la modifica del Titolo V, ha fatto crescere nel tempo una rivendicazione politica da cui il Governo attuale non può più svincolarsi (pena la caduta del governo stesso): la partita doppia, cioè tra il dare e avere, è nel binomio premierato e autonomia differenziata.
Se tanto ci da tanto, allora, si faccia attenzione ad una asimmetria politica: il Ddl sull’autonomia differenziata ha un percorso più breve di approvazione (essendo iter legislativo ordinario) mentre il premierato, essendo una modifica costituzionale, richiederà di gran lunga tempi maggiori con una incognita ovverosia le votazioni europee e regionali 2024.
Chissà se il gioco di Governo del duopolio Fratelli d’Italia-Lega terrà ferme le minoranze interne (Forza Italia, Noi con l’italia, ecc.) che sino ad allora rischiano di eclissarsi per effetto del fatto che proprio Giorgia Meloni, consentendo alla Lega di issare la bandiera di risultato più importante di inizio 2024 (così facendola tornare al centro del dibattito nazionale pur contando solo 8%), ne sta legittimando vorticosamente l’aumento di incidenza nelle logiche di maggioranza.
Sullo sfondo rimane il Paese: frastornato da una autonomia differenziata mal digerita dall’opinione pubblica e che, sottotraccia, potrebbe far rigurgitare proprio le minoranze interne alla maggioranza di Governo le quali, in vista delle competizioni elettorali, non potranno mettere in discussione la loro esistenza stessa nel dibattito politico e tra le sacche moderate dell’elettorato italiano.
Per ora l’autonomia, per come partorita, provoca disagio. Forte. E il Mezzogiorno che partita vuole fare? Parliamo dei residui attivi delle regioni? O forse meglio parlare degli appalti delle aziende settentrionali al Sud (grazie all’unità d’Italia)? Se a Pontida festeggiano, sull’Ofanto si può ricostruire l’unità del Paese. Ma serve una classe politica che voglia isolare definitivamente chi pensa che il Sud non valga alcunché. E i politici del Sud candidati nella Lega che pensano, che idea hanno di Mezzogiorno? Si resta in attesa di riscontro.