L'analisi
Quel canto angelico che ci affratella nella macchina del fango
Arrivano da tante parti d’Italia, dal Lazio, dall’Abruzzo, dal Piemonte, dalla Toscana, da altre regioni. Arrivano a spalare nel tentativo di salvare vite umane perché tante possono essercene ancora, tra i dispersi, e salvare animali e oggetti
Arrivano da tante parti d’Italia, dal Lazio, dall’Abruzzo, dal Piemonte, dalla Toscana, da altre regioni. Arrivano a spalare nel tentativo di salvare vite umane perché tante possono essercene ancora, tra i dispersi, e salvare animali e oggetti.
Spalare e spalare, vangate robuste e veloci sforzandosi quanto possibile di arginare i danni immani alle case, alle cose, a tutto quanto di frammenti di migliaia di esistenze ancora non è scivolato via, trascinato per chilometri dal fiume in piena dell’alluvione. Sono gli «angeli del fango». Il fango è una macchina micidiale («macchina del fango» non si dice per caso): intrappola nella sua morsa tutto. Più ancora della furia dell’acqua, o ad essa uguale, il fango è sterminatore. Per questo anche l’espressione «angeli del fango» suona un ossimoro. «Angeli», ovvero messaggeri di salvezza, «del fango», ovvero nella devastazione. Spalatori angelici perché subito, non appena sul posto, come volontari notte e giorno impegnati strenuamente a provare a salvare, arginare, aiutare.
«Angeli del fango» lo si disse dei soccorritori volontari durante l’alluvione di Firenze del 1966. Terribile quella pure, tante vittime, tremendi danni. Gli aiuti spontanei arrivavano anche allora da molte parti d’Italia, nell’intenzione solidale di prestare soccorso, dare una mano con pale, sudore, forza di braccia. Si tentava, allora come adesso, di salvare vite, e cose, e opere d’arte. Ma erano tempi diversi, la pioggia era un castigo di un autunno straordinariamente piovoso e violento, non come adesso un flagello causato dall’incuria nostra, di noi umani, arroganti e ciechi fino all’estremo di non voler vedere l’evidenza di un cambiamento climatico radicale e mortifero, quasi del tutto irreversibile per causa di stesse nostre arroganza e cecità. Gli «angeli del fango» sono giovani e meno giovani, figli e genitori, solitari e comunitari, donne e uomini tutti insieme partiti immediatamente e subito dopo al lavoro pur di aiutare persone, adulti e bambini, pur di mettere in salvo interi paesi e centri abitati più grandi, chiese e case, spiagge, e colture, e animali, e tanti, tantissimi appartamenti ai piani più bassi, costruiti e per anni, molte volte per un’intera vita, arredati e vissuti nel segno dell’amore per la casa che è una forma di amore per la vita. Case, mobili, animali domestici e attrezzi e macchine e testimonianze di vite: tutte cose ora inghiottite dalla furia dell’acqua prima, soffocate nella morsa del fango subito poi. Appartenenze e radici strappate in una manciata di minuti, provocando dolore e trauma fortissimi, molte volte senza rimedio.
Nei video sui social li abbiamo visti e ascoltati cantare «Romagna mia», gli «angeli del fango». Cantare per farsi coraggio, ma anche per manifestare solidarietà e cordoglio. Cantare per dar voce e ritrovare un bandolo di un’appartenenza per tanti vissuta in quel momento soltanto, eppure fortissima. Tutti romagnoli e tutti in Romagna, come tutti si era con il cuore e - se si poteva - dal vero a Firenze, più di cinquant’anni fa. L’acqua devasta e spazza via, fa smottare i terreni e gli alberi, divelle alle fondamenta. Uccide, inghiotte, sparge sgomento e shock, tantissima paura. Fa sentire impotenti. Su quell’impotenza, la solidarietà si staglia, getta e sparge un raggio che riluce buono, angelicale. Questa tremenda alluvione di questo livido mese di maggio 2023 unisce le persone, le affratella: come sempre accade quando la Natura a un tratto diventa nemica, ostile e terribile. Qui forse di più ancora, perché lo smarrimento è totale dato che l’ostilità della Natura è risposta a nostra incuria, arroganza, maltrattamento, offesa, e quello che si stabilisce è un fronteggiamento che solo magari Giacomo Leopardi avrebbe saputo raccontare sul serio. Nello sgomento e nel dolore viene da ragionare sulla prospettiva di un futuro solidale. Quello ci attende, quello ci soccorre, quello tragedie come questa e gli stessi «angeli del fango» ci fanno vedere. Vedere che è nella solidarietà la sola chiave possibile per abitare una Terra che si spalanca e scatena alluvioni di fronte alla nostra incapacità di rispettarla.