L'editoriale

Sul patto di stabilità l’Italia riduca le tensioni con la Ue

Leonardo Sforza

Si replica per certi versi l’approccio usato nei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) con un ruolo sempre più importante per la Commissione europea anche se i challenges nazionali diventano di ben altra portata

La proposta formale della Commissione europea (CE) per la tanto attesa riforma del quadro giuridico dell’UE sul monitoraggio delle politiche nazionali di bilancio annuncia una svolta importante nel rendere piu flessibile, graduale e credibile il percorso di riduzione del debito pubblico per paesi come l’Italia ad alto debito, e nell’incentivare investimenti pubblici strumentali ad uno sviluppo economico sostenibile, più equo e solidare.

Una svolta garante di maggiore flessibilità e autodeterminazione nazionale ma anche più gravosa ex post nel caso di mancato rispetto degli impegni presi da ciascun paese in fase negoziale con la Commissione e approvati dal Consiglio UE in un piano strutturale di bilancio pluriannuale (di minimo quattro anni estensibile a sette) presentato tenendo conto degli orientamenti tecnici CE sulla sostenibilità del proprio debito.

Si replica per certi versi l’approccio usato nei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) con un ruolo sempre più importante per la Commissione europea anche se i challenges nazionali diventano di ben altra portata. La sensibile riduzione dei margini di spesa pubblica per i paesi ad alto debito, l’impatto negativo sulla credibilità istituzionale e le conseguenze sui mercati finanziari della reputazione/affidabilità paese sarebbero ben maggiori in caso di mancata applicazione di quanto concordato. Più fiducia e autonomia di decisione programmatica con qualche vincolo di riduzione del debito publico eccessivo, comunque meno stringente degli attuali, in cambio di rigore nel fare quanto ci si è impegnati a realizzare pur contemplando diverse misure di salvaguardia per far fronte ad eventuali situazioni eccezionali, nonché l’opportunità di tenere conto dei cicli politici di ciascun paese.

Restanno peraltro in vigore i criteri convenzionali di governance economica previsti nel secolo scorso dal Trattato di Maastricht in preparazione dell’introduzione dell’euro, con il limite del 3% nel rapporto deficit annuale/PIL e del 60% per il rapporto debito/PIL. Quest’ultima soglia, per quanto in decrescita nel 2022 attestandosi all’84% nella media europea secondo le ultime stime di Eurostat, é stabilmente superata da 13 dei 27 Stati membri con in testa Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Francia e Belgio.

L’equilibrio fra “carota e bastone” trovato fin’ora dalla Commissione é necessario, anche se certamente non ancora sufficiente, per conquistare l’adesione dei cosiddetti Stati membri “frugali”, a partire dalla Germania, che considerano già la proposta della Commissione troppo lassista. Senza l’accordo unanime fra Stati membri con il sostegno del Parlamento entro quest’anno, tornerebbero in vigore le vecchie regole del Patto di stabilità e crescita sospese dal 2020, come risposta alla crisi indotta dal COVID, successivamente aggravata dalla crisi energetica e dalla guerra in Ucraina.

La riforma UE di governance delle nostre economie condizionerà sensibilmente la portata, la natura e la qualità della spesa pubblica per l’italia e più particolarmente per le regioni del Sud più bisognose.

A seconda delle scelte istituzionali che prevarrano, ora in fase di definizione della riforma e successivamente di attuazione, si potrà offrire o negare alle prossime generazioni un paese migliore sul piano dello sviluppo sostenibile con un fardello più o meno oneroso di debito pubblico.

Sono passati più di vent’anni dalla clamorosa dichiarazione di Romano Prodi, allora presidente della CE, che aveva giudicato come “stupido” il Patto di stabilità e crescita per la dannosa inflessibilità dei suoi criteri di riferimento. Le successive crisi economico-finanziarie e l’impatto negativo sulla vita di milioni di europei soprattutto nel Mediterraneo per la gestione delle crisi da debito sovrano gli avevano dato ragione. Occorre aspettare la leadership di un altro binomio di italiani di particolare determinazione e competenza quali il Commissario Paolo Gentiloni ed il suo Capo di gabinetto Marco Buti per porre le basi del processo istituzionale di riforma e semplificazione sia del Patto di stabilità che del corollario di misure connesse alla sorveglianza delle politiche di bilancio, da poco finalmente all’esame del Consiglio e del Parlamento.

Anche in questo contesto come nel caso del PNRR, è nell’interesse dell’Italia sviluppare una seria strategia negoziale nei diversi tavoli istituzionali e politici che miri a salvaguardare la sostanza e lo spirito della riforma più consona al modello di sviluppo che si intende costruire per il futuro, piuttosto che agitare stendardi idelologici che finirebbero per nuocere al sistema paese. Occorre ridurre piuttosto che coltivare le numerose aree di tensione che influenzano negativamente le relazioni dell’Italia con le istitituzioni UE e gli altri partner europei, a cominciare dalla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. L’italia rimane ultimo paese a bloccarne l’entrata in vigore, senza ragioni plausibili.

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