L'analisi
Bio-carburanti, un treno che l’Italia non può perdere
L’imminente decisione europea in merito ai carburanti di ultima generazione è considerata molto importante per l’economia del nostro Paese, tanto che il governo si sta impegnando seriamente a riguardo. Proviamo a capire perché
L’imminente decisione europea in merito ai carburanti di ultima generazione è considerata molto importante per l’economia del nostro Paese, tanto che il governo si sta impegnando seriamente a riguardo. Proviamo a capire perché.
L’Unione Europea ha deciso di interrompere la produzione e vendita di motori a scoppio nel 2035, con il fine di raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione nel 2050, quando l’area di integrazione europea dovrebbe smettere di generare, per muoversi, riscaldare, produrre industrialmente manufatti, gas che alterano il clima, come l’anidride carbonica.
Si tratta di un cambiamento che definire epocale è poco, tenendo conto che il 2035 è praticamente dietro l’angolo. Oltretutto per un Paese come il nostro che è tra i primi al mondo nella filiera di produzione industriale di autoveicoli endotermici.
Per favorire una transizione meno repentina e traumatica verso nuovi motori e nuove macchine, l’Italia sta cercando di proporre come possibile alternativa alla sola mobilità elettrica la produzione di biocarburanti che potrebbero alimentare i motori tradizionali con un impatto ecologico molto minore di quelli basati sul petrolio o sul gas metano. La Germania, l’altra potenza continentale dell’automotive, sta portando avanti la stessa operazione puntando però su un’altra filosofia di carburanti, i cosiddetti e-fuels o carburanti sintetici.
I biocarburanti sono prodotti sia da colture vegetali sia da biomasse, come gli scarti del verde e dell’umido alimentare della raccolta differenziata. L’Italia punta da oltre un decennio su questo tipo di produzione, che era cresciuta molto dopo il Duemila in alcuni Paesi del mondo, come il Brasile, venendo accusata di un eccessivo peso ecologico e di alterare il mercato di alcuni prodotti agricoli. I biocarburanti di seconda generazione si concentrano invece sul recupero dei rifiuti e degli scarti organici di produzioni agricole estensive, sono dunque un ottimo esempio di economia circolare, anche se non sono esenti da problemi. In primo luogo non sono del tutto ad impatto zero dal punto di vista della produzione di emissioni climalteranti; hanno poi un considerevole consumo di suolo legato allo sviluppo di particolari colture, quindi i biocarburanti non sono sempre o del tutto compatibili con i motori moderni.
L’ENI dispone di due impianti leader a livello mondiale per la produzione tecnologicamente avanzata di biocarburanti, le raffinerie di Porto Marghera e di Gela, dove vengono trasformati olii vegetali usati (ad esempio quelli di frittura), grassi animali e olii derivanti da colture non in competizione con la produzione alimentare agricola. A Livorno ENI produce invece biocarburante per gli aerei, un’altra categoria di mezzi di trasporto per la quale è indispensabile pensare ad una transizione verde non basata, almeno a livello della realtà tecnologica attuale, sull’elettrico. Per alimentare la sua produzione, ENI sta creando in Kenya, Mozambico e Congo grandi piantagioni dette di colture oleaginose come ricino. Si tratta, nelle intenzioni della azienda, di non entrare in competizione con le produzioni alimentari classiche, per non alterare il già precario equilibrio dei mercati africani.
L’altra strada per mantenere in vita i motori tradizionali è quella su cui si è avviata da qualche anno la Germania: la produzione di carburanti sintetici, cioè sostanzialmente l’idrogeno verde o green. Questo è prodotto utilizzando acqua, tramite l’elettrolisi, separandolo dall’ossigeno. Se per la produzione si utilizza energia elettrica derivante da fonti rinnovabili, il ciclo è praticamente a zero emissioni di gas climalteranti.
Il combustibile liquido che se ne ricava può essere venduto negli attuali distributori di diesel e benzina e presenta una efficienza energetica decisamente superiore a quella delle attuali batterie elettriche, tanto vero che i tedeschi, per comunicarne le virtù, prevedono di alimentare con questo e-fuel alcuni modelli della Porsche, tra cui la mitica 911, per la quale non è previsto il modello elettrico. Il problema vero della produzione di questi e-fuels è il loro costo ancora elevato, per cui allo stato attuale non sarebbe garantita la loro economicità per sostituire nei motori tradizionali il diesel o la benzina. Verrebbe a riprodursi la strozzatura che riguarda l’elettrico, tecnologia utile ma ancora inarrivabile economicamente per una grande massa di utenti.
All’interno del PNRR vi sono diverse iniziative per promuovere la ricerca e la produzione di idrogeno e sostenere la transizione alla decarbonizzazione. Tra queste, con un profilo internazionale vi è il progetto congiunto di Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Croazia per la creazione di una Valle Idrogeno del Nord Adriatico e più vicino a noi quella lanciata tra ottobre e gennaio dalla Puglia con 40milioni di euro e dalla Basilicata con circa 20 milioni.
La sfida tecnologica è duplice. Sia per ridurre i costi di produzione, che attualmente sono decisamente sfavorevoli rispetto alla produzione di carburanti fossili, sia per adeguare tutto il sistema di produzione, gestione delle autovetture, e distribuzione dei carburanti. Che avrebbe tuttavia a disposizione delle reti che l’elettrico non ha e che sta cercando faticosamente e costosamente di costruire.
Poi naturalmente, ci sono le sfide politiche, dove a contare sono i sistemi industriali nazionali ma anche ragioni di relazione ed equilibrio geopolitico.