Il commento

In Ucraina la vera guerra è fra Stati Uniti e Cina per la leadership mondiale

Marcello Foa

Ad un anno dall’attacco russo all’Ucraina paradossalmente Europa e Stati Uniti sono più vulnerabili e questo ci porta al punto essenziale della crisi, che resta quello di dodici mesi fa

È trascorso un anno dall’attacco russo all’Ucraina e il bilancio resta offuscato. Ha vinto Putin? Ovviamente no, il 24 febbraio 2022 fu mal consigliato e una guerra rapida e leggera si è trasformata in un conflitto lungo, dispendioso e pesante in termini di vite umane.

Dunque sta vincendo Zelensky? Non esattamente. Quella degli ucraini è stata una resistenza coriacea e insperata, che è servita a fermare l’avanzata russa. Pochi la ritenevano possibile nel febbraio 2022 ma non può essere considerata una vittoria, perché l’esercito ucraino oggi appare sfibrato, fra soldati caduti, feriti e catturati, e scruta con crescente inquietudine il futuro per l’evidente superiorità numerica dell’esercito russo.

Ma nemmeno l’Occidente può festeggiare, perché se da un lato, ha indubbiamente dimostrato al Cremlino e al mondo la propria superiorità tecnologica e militare (se Zelensky non ha capitolato è soprattutto grazie all’assistenza dell’Alleanza), d’altro canto è stato costretto a un impegno finanziario e militare tale da ridurre armamenti e forza bellica. Paradossalmente, oggi Europa e Stati Uniti sono più vulnerabili e questo ci porta al punto essenziale della crisi, che resta quello di dodici mesi fa.

Quella in Ucraina non è una crisi regionale, ma una sfida strategica che vede in palio la leadership del mondo, e viene combattuta da Stati Uniti e Cina per interposta persona. Dietro Mosca c’è Pechino e assieme ad essa diversi Paesi emergenti che rivendicano una diversa governance degli affari del mondo, ovvero la fine non della globalizzazione ma della regia unipolare statunitense. Specularmente, dietro Kiev, ci sono gli americani, che, dopo i disastri in Iraq e soprattutto in Afghanistan, devono dimostrare di essere ancora i garanti dell’Ordine mondiale e, dunque, che nessun mutamento degli assetti internazionali, anche territoriali, può essere tollerato senza il loro assenso.

Nelle ultime ore questa sfida è diventata palese anche ai più scettici. La Cina non nasconde più le proprie intenzioni e la propria vicinanza a Putin, mentre Washington si mostra sempre più guardinga, se non inquieta nei suoi confronti; come dimostra la reazione sproporzionata alla vicenda della mongolfiera-spia e il recentissimo monito pubblico a non fornire armi al Cremlino. La tensione fra i due Paesi cresce, il nervosismo anche, mentre un’ipotesi diventa certezza: la fine del conflitto in Ucraina sarà determinata innanzitutto a Washington e a Pechino, il che rende lo scenario ancora più complicato.

Putin oggi in teoria può scatenare una nuova pesante offensiva, con possibilità di successo molto più elevate rispetto al 2022. Gli occidentali ne sono consapevoli e per questo reiterano il loro appoggio a Zelensky, testimoniato dal viaggio a sorpresa di Biden a Kiev, dal fortissimo valore simbolico e dal rinnovato impegno a fornirgli nuovi armamenti ancor più sofisticati. Il messaggio è forte e chiaro: non accetteremo la sconfitta.

Così, come dodici mesi fa, il mondo si trova sospeso tra l’incubo di una guerra prolungata, che potrebbe potenzialmente finire fuori controllo e la possibilità di una pace improvvisa, a dispetto dei discorsi roboanti e agguerriti di queste ore. Anzi, proprio grazie a quei discorsi. Se - come ripete il Capo di Stato Maggiore dell’esercito degli Stati Uniti, generale Mark Milley - né russi né ucraini possono ottenere la vittoria finale, la soluzione potrebbe essere quella di un cessate il fuoco che permetta a ognuno di apparire, a modo proprio, vincente. Un cessate il fuoco in grado di congelare, oltre alla guerra in Ucraina, anche il braccio di ferro strategico sino-americano, spostando al Pacifico e in tempi più lunghi la definizione della disputa tra i due contendenti.

Ma il buon senso, si sa, non sempre è di questo mondo e molto dipenderà dall’esito di un altro conflitto invisibile, tutto americano, che sta contrapponendo i neoconservatori, da sempre oltranzisti e risolutamente antirussi, ai «realisti», che non ritengono saggio prolungare oltre il conflitto in Ucraina e preferiscono concentrare risorse e strategie sulla Cina. Un dibattito che in realtà dovrebbe essere più ampio e avvenire innanzitutto dentro la Nato ma così non sarà, perché questa crisi ha palesato una volta di più la debolezza dell’Europa, sia in quanto Ue, sia nell’azione dei due Paesi leader, Germania e Francia.

Un’Europa che non è mai pervenuta come soggetto politico autorevole, risultando indecisa, passiva, incapace non solo di difendere i propri interessi economici, industriali e strategici ma addirittura, purtroppo, di definirli. Si è limitata a seguire Washington su tutto, senza mai acquisire credibilità negoziale. La sua voce non si è sentita e anche per questo buona parte dello straordinario consenso popolare per Kiev di un anno fa si è affievolito.

L’opinione pubblica oggi appare sempre meno disposta a mandare armi, evidenziando il rischio di una crisi nella crisi, tutta europea. Quella di una nuova divaricazione fra popolo e governi, che nessuno pare disposto ad ammettere, che nessuno sa come risolvere.

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