L'analisi

Così vicine, così lontane: Italia e Francia devono essere amiche ora più che mai

Gaetano Quagliariello

E a ben vedere nella formula c’è qualcosa che va oltre la cronaca recente, perché dal secondo dopoguerra i rapporti politici e diplomatici con i nostri vicini d’Oltralpe non sono mai stati scontati né facili

«Così vicini, così lontani». Non è il titolo del famoso film di Wim Wenders riveduto e corretto. È la sintesi dei rapporti fra Italia e Francia che si ricava dagli eventi degli ultimi giorni. E a ben vedere nella formula c’è qualcosa che va oltre la cronaca recente, perché dal secondo dopoguerra i rapporti politici e diplomatici con i nostri vicini d’Oltralpe non sono mai stati scontati né facili. Sicché, per farci un’idea della posta in gioco oggi, non è superfluo attingere ai serbatoi della memoria.

L’immediato dopoguerra, all’indomani del secondo conflitto mondiale, non poteva portare con sé nulla di buono. L’Italia era stata costretta a firmare una resa incondizionata e la sua stessa unità territoriale era fortemente minacciata. La Francia, grazie alla visionaria preveggenza di De Gaulle, aveva invece riscattato la sconfitta del 1940 venendosi miracolosamente a trovare dalla parte dei vincitori. Sul rapporto tra i due Paesi, dunque, pesava non soltanto l’esito della guerra ma anche il ricordo della “coltellata alla schiena” che l’Italia aveva inflitto a una Francia già agonizzante, entrando in campo a fianco della Germania.

Visti i presupposti le cose non andarono neppure troppo male, anche grazie all’abilità del nostro ambasciatore a Parigi che rispondeva al nome di Giuseppe Saragat. Perdemmo Tenda e Briga ma, in compenso, ricevemmo un aiuto dai francesi per gli altri confini in discussione.

I rapporti migliorarono ancora con l’avvento della IV Repubblica francese. Non soltanto per una certa somiglianza delle nostre rispettive Costituzioni e quindi dei sistemi politici. Ancor più per la rilevanza che la famiglia politica cristiano-democratica ebbe nel governo dei due Paesi, nonché per l’intesa che si stabilì tra uomini del calibro di De Gasperi e Schumann: intesa che, com’è noto, riverberò i suoi effetti anche sugli esordi del processo di unificazione europea. Di più: nel contesto continentale neppure la bocciatura del progetto di Esercito Europeo, consumatasi nel 1954 da parte del Parlamento francese, bastò ad allontanarci. In Italia, infatti, ai successori di Alcide De Gasperi - Fanfani in testa - non dispiacque affatto che i “cugini” avessero tolto loro le castagne dal fuoco.

Dopo quella sconfitta epocale l’integrazione europea si rimise in moto, con un contributo non secondario dell’Italia soprattutto nelle conferenze di Messina e Venezia. E il ritorno sulla scena di De Gaulle - certamente non un “euro-entusiasta” – non vanificò quegli sforzi. L’economia francese, stremata da una guerra coloniale che aveva prolungato senza soluzione di continuità quella mondiale, aveva infatti bisogno del mercato comunitario. E il Generale non si oppose a che esso nascesse, per ragioni eminentemente nazionaliste.

Accadde però che la vicenda europea, su impulso dello stesso De Gaulle, si iscrisse nel solco profondo dell’asse franco-tedesco, anche a chiusura di una conflittualità che si prolungava dalle ultime decadi del XIX secolo e che aveva alimentato ben due guerre mondiali. E inevitabilmente la ritrovata concordia tra i due colossi continentali, così carica di significati morali oltreché storico-politici, finì col riverberarsi sulla collocazione dell’Italia. Fin dalla nascita dell’Europa dei sei, infatti, il nostro Paese si era trovato in bilico tra l’essere il più piccolo dei grandi o il più grande dei piccoli. L’asse tra Parigi e Bonn, evidentemente, lo relegava in quest’ultima posizione.

Il diverso rango contribuì ad amplificare alcune differenze strutturali fra Italia e Francia che, a seconda dei contesti storici, hanno creato complementarietà o dissidi. In Francia lo Stato è uno e indivisibile, mentre l’Italia trova in comunità che fondano la propria ricchezza sull’autonomia un punto di forza. A lungo il “residuo” imperiale ha dato all’europeismo francese una cifra differente - più relativistica - rispetto a quello italiano. E la stessa identità nazionale, esplicatasi Oltralpe nella vocazione all’assimilazionismo culturale, in Italia ha ricercato la via dell’eccezione, come notò con acume Karol Wojtyla.

Dal 1962 in poi – data di nascita dell’asse franco-tedesco - l’Europa si sarebbe più volte allargata. In Francia si sono avvicendate presidenze di destra, di sinistra e di centro; in Italia governi di centro, di destra e di sinistra. Ma i rapporti tra i due Paesi, generalmente amichevoli, sono stati esposti a crisi ricorrenti. Al punto che l’accordo del 26 novembre 2021 sottoscritto da Macron e Draghi - un testo volto a stabilire una speciale relationship, noto come “il Trattato del Quirinale” - è parso alla stregua di una inaspettata sorpresa.

Di fronte a crisi inattese e a crepe nelle relazioni transalpine l’Italia, per non restare isolata in Europa, ha sovente ricercato la sponda atlantica e il rapporto speciale con gli Stati Uniti. Anche le cronache di questi giorni, d’altro canto, sembrerebbero riproporre questo stesso schema. Almeno in apparenza. A noi sembra, però, che questa volta vi sia una differenza che il nuovo governo farebbe bene a valutare con attenzione. La guerra russo-ucraina - un vero salto nel buio propostoci dalla storia - ha infatti dato valore come mai era accaduto nel recente passato alla coesione dell’Occidente. E nella ricerca di questa prospettiva l’Italia non è stata “la prima dei piccoli”. Ha giocato un ruolo da assoluta protagonista al punto da poter affermare che l’Europa ha tenuto perché ha fin qui tenuto il nostro Paese. Oltre ogni previsione.

Di questa coesione c’è però ancora disperatamente bisogno. Per questo, ogni pur giusta recriminazione dev’essere inscritta in questa cornice, anche per non disperdere quanto fin qui conquistato in termini di reputazione internazionale. Per ragioni di prestigio nazionale. E anche per altre, persino più importanti, di solidarietà occidentale.

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