Cultura e tesori nascosti
Lecce, quel ciborio del ‘500 al servizio delle Pentite
Custodiva le ostie per la comunione delle suore di clausura
Nel cuore della Lecce più antica, una chiesetta sconsacrata nel 1967 nasconde un «tesoro», di cui pochi si accorgono, pur avendolo a portata di mano. Intitolato al protettore degli appestati, San Sebastiano, l’ex luogo di culto che lo contiene, edificato nel 1520 sulla sottostante chiesa rupestre paleocristiana dedicata anche ai Santi Leonardo e Rocco, si trova all’imbocco di via dei Sotterranei, così detta per la presenza delle stratificazioni archeologiche a suo tempo studiate e subito dopo risepolte. Oggi è sede della Fondazione Palmieri (dal nome della famiglia di Monteroni divenuta proprietaria assieme all’attigua Sacrestia), e ospita conferenze, concerti, mostre di pittura e presentazione di libri, che col movimento creato, fanno passare in secondo piano il nostro tesoro.
Si tratta di una piccola edicola a forma di tempietto, detta anche ciborio, che una volta entrati nella chiesetta, un tempo impreziosita da un tetto ligneo, s’incontra nella parte terminale del lato destro. Anch’esso del Cinquecento, aveva uno sportellino, andato purtroppo perso, nel quale erano conservate le ostie consacrate per il Sacramento della Comunione delle suore Cappuccinelle del confinante Convento edificato nel 1583, più comunemente conosciuto come “Le Pentite”, perché per volontà del frate Bernardino da Balbano, divenuto Conservatorio, prese ad accogliere ragazze madri e disagiate. Detto anche “comunichino”, il ciborio, al centro del quale svetta lo stemma della nobile famiglia leccese dei Prato, era direttamente collegato al monastero, ed attraverso di esso, senza essere scorte neppure dal sacerdote officiante la messa, le suore di clausura ricevevano appunto la Comunione.
Se in San Sebastiano, edificio a navata unica le cui pareti sono contraddistinte da arcate a tutto sesto, il ciborio con l’architrave finemente decorata con testine di angeli, è la vera «star», gli affreschi sopravvissuti a differenza dei sette altari purtroppo smembrati nel corso dei secoli, brillano di uguale luce. Datati XVI secolo, sono quattro, e rappresentano la Madonna del Buon Consiglio, una Deposizione, la Madonna del Soccorso, ed una Pietà, che ricorda il carboncino michelangiolesco della più nota Pietà per Vittoria Colonna, conservato nel Museo di Boston. Al di sopra degli affreschi, sopravvissuti al pari di due mezze colonne a muro ed alcuni fra capitelli e fregi, sono ancora le grate e tracce murate dei cosiddetti “coretti”, dall’alto dei quali, le suore assistevano alle funzioni religiose.
Vale ricordare che nel corso degli scavi dell’ambiente ipogeo rupestre effettuati nel 1762 e poi ancora nel 1912, i pochi resti umani rinvenuti, vennero attribuiti a Sant’Oronzo, primo vescovo e protettore di Lecce, nonché ai copatroni Giusto e Fortunato. Ma che si tratti davvero delle spoglie dei tre Santi, è ipotesi che non ha mai trovato conferme storico-documentali.
Prima del riuscito recupero da parte della famiglia Palmieri e della conseguente trasformazione in contenitore culturale, la piccola chiesa fu deposito di legnami, officina meccanica e negozio di antiquariato. E di una Palmieri, Luciana, assieme ad altri otto curatori, è il libro edito nel 2013 da Esperidi: “Le pentite di San Sebastiano. Arte, devozione e carità a Lecce”.