L'intervista
Giovanna Botteri: «A Gaza muoiono persone innocenti. La verità? Va difesa»
«Ho scritto un libro su Kamala Harris. Con Trump è un testa a testa che si gioca su una manciata di voti indipendenti»
«Credo che l’Italia sia un Paese democratico. Finché esisteranno i giornali e la tv, indipendentemente da come i governanti si rapportano alla stampa, dovremo continuare a tutelare la via della verità, leggendola da tutti i punti di vista». Giovanna Botteri, quarant’anni passati sui fronti di guerra: dalla Bosnia all’Iran, dall’Algeria al Kosovo, passando per Iraq, Usa, la Cina del Covid e la Francia, oggi alle 18, in Piazza Quercia a Trani, assieme al collega Sigfrido Ranucci, interverrà al dibattito sulla libertà di informazione, per i «Dialoghi di Trani».
Giovanna Botteri, archiviata con la pensione la carriera in Rai, lei non si è fermata a fare la giornalista, visto l’incarico di inviata de «In altre parole», il programma di Gramellini su La7. Questo mondo le chiede ancora di essere raccontato?
«Credo che ci siano da fare ancora delle cose che so fare. Oltre alla collaborazione con La7, sta per uscire un mio libro sulla candidata alla Casa Bianca Kamala Harris».
Lei cita la Harris, qual è la sua previsione sulla sfida con Trump?
«Harris-Trump è un testa a testa che si gioca su una manciata di voti indipendenti. Una figura femminile che ambisce all’America porta in dote la questione di genere. Il caso-Harris lo vedo nel solco di Margaret Thatcher. Dalle prime dichiarazioni, tra difesa dell’aborto e sostegno all’indipendenza palestinese, la candidata democratica evoca valori sani. Di contro c’è un Trump forte del primo mandato, che spara slogan, che dice di adorare l’amico Orban e di avere rapporti con Putin e Kim Jong-un. Un personaggio che, non dimentichiamolo, ha rischiato la vita in un attentato».
A proposito del conflitto israelo-palestinese,pensa a una escalation e a un allargamento che coinvolga anche l’Occidente?
«Come giornalisti abbiamo l’handicap di non poter raccontare completamente il dramma, non stando a Gaza. Dunque abbiamo solo la parte della storia che viene dall’altra parte. Sullo scenario c’è un aspetto che mi ha inquietato: la non reazione dell’Iran davanti all’uccisione a casa sua di Haniyeh, il capo dell’ufficio politico di Hamas, che lo stesso Iran sostiene. Ci sono aspetti diplomatici oscuri sul Medio Oriente. La striscia, dove continuano a morire innocenti, resta tesa e minaccia il mondo. Finché la maggioranza araba e Hamas non riconosceranno come Stato Israele, e quest’ultimo, a sua volta, non garantirà l’esistere alla Palestina».
Lei è nata a Trieste, figlia di un giornalista ex direttore della sede Rai Friuli-Venezia Giulia e di una mamma serbo-montenegrina: il mestiere di cronista sulla frontiera era già scritto nei suoi geni?
«Sono nata sul confine, dove tra l’altro molti italiani si sono battuti e sono morti. Il concetto di confine oggi è al centro del dibattito. Io credo che, per cercare di fermare l’emorragia dei migranti, l’Europa debba affrontare il problema con spirito collettivo, impegnandosi a supportare in un processo di riconversione quelle nazioni sottosviluppate da dove la gente fugge. A riguardo la crescita dell’Albania, da dove i barconi non partono più, è illuminante».