Il racconto

«Ho scritto questo libro invece di divorziare»: la giornalista Annalisa Monfreda in Puglia e Basilicata

Maria Grazia Rongo

Un’indagine che vuole disegnare il tassello mancante dell’emancipazione femminile

Galeotta fu la pandemia. Quando all’improvviso la verità le si è spalancata davanti agli occhi, Annalisa Monfreda non ha avuto dubbi: c’era qualcosa che non filava in quella nuova routine, il «carico mentale» era tutto suo. Parla di una scoperta e di una conquista il bel libro che la giornalista di origini pugliesi, nata a Casamassima (Ba), per anni alla direzione di importanti riviste, dal 2012 alla fine del 2021 direttrice di «Donna Moderna», oggi fondatrice con altri tre soci di «Rame» (una piattaforma che rompendo il tabù che ruota intorno ai soldi vuole ridurre, nel modo più semplice possibile, il gender gap finanziario che riguarda soprattutto le donne), ha pubblicato con Feltrinelli, Ho scritto questo libro invece di divorziare. Cronaca di liberazione dal carico e altre conquiste (pp. 139, euro 15). L’autrice, che vive a Milano insieme a un marito «femminista» e a due figlie, è in questi giorni in Puglia e Basilicata per un tour di presentazioni. Si inizia domani a Sammichele di Bari, nella Sala Consiliare del Palazzo Municipale (18.30); il 25 Monfreda sarà a Matera, nella libreria Mondadori (ore 19); il 26 si torna a casa, a Casamassima, nell’Auditorium dell’Addolorata (ore 18.30); infine il 28 a Bisceglie nella libreria Vecchie Segherie Mastrototaro (ore 19).

Monfreda, ha scritto questo libro invece di divorziare. Perché?

«Perché ho iniziato a scriverlo in un momento in cui davvero ho visto la vita andare a pezzi, come gran parte della popolazione mondiale femminile durante la pandemia. Ero una di quelle donne che all’improvviso si è ritrovata davanti agli occhi una disparità, all’interno della famiglia, che pensava di aver superato. Mi sono resa conto che di default, tutto ricadeva su di me. Il carico delle figlie, quello domestico, ma soprattutto mentale. Il compito organizzativo dietro le cose. Era già successo altre volte nella mia vita di coppia. Ogni volta che cambiava qualcosa, nasceva una nuova figlia, è come se a ogni scossone la nostra parità venisse sempre messa in discussione».

Nonostante lei abbia sposato un «femminista»…

«Sì, un uomo che si è sempre realizzato nel vedermi andare avanti. Tanto che io non riuscivo a vederla la disparità perché è una cosa più forte di qualsiasi sovrastruttura culturale e ha radici profonde. Non significa che non si possa cambiare ma è più difficile di quello che si possa immaginare».

Quindi cosa ha fatto?

«Mi sono dedicata a studiare questo fenomeno e a cercare le parole per riuscire a farlo vedere anche a lui, perché il problema delle coppie è questo: la disparità noi donne non la diciamo a noi stesse, perché ce ne vergogniamo, siamo donne evolute. Ho cercato quelle parole in due anni di studi, di interviste, dai premi Nobel alle scrittrici, ho parlato con chiunque e studiato qualunque cosa e alla fine ho testato lo studio di quell’analisi su mio marito. La sera tornavo a cena e ne parlavo e capivo che cominciavamo a trovare una lingua comune. Così alla fine il libro è diventato questo mix di saggio e applicazione pratica. Quindi non abbiamo divorziato e credo non divorzieremo più, o sicuramente non per questo motivo!».

Un capitolo è dedicato alla «magia della scopa», con tanti riferimenti letterari, dalla Woolf alla Ginzburg. Cos’è questa magia?

«La cosa molto bella che mi hanno fatto scoprire queste scrittrici, è che in realtà c’è un piacere nel compiere tutte queste attività domestiche che sono fondanti dell’essere umano. Se noi partiamo dal valore di queste attività già la loro distribuzione ha un valore diverso. Non sono attività lesive della nostra vita, siamo noi che le abbiamo caricate di sovrastrutture».

Quindi ce la possiamo fare?

«Sicuramente, anzi, ce la stiamo già facendo. Per le giovani generazioni ad esempio è in atto una doppia trasformazione che riguarda sia gli uomini che le donne. I giovani uomini, ad esempio, hanno già cambiato il paradigma del successo. Addirittura prendono lavoro solo se possono farlo da casa. Si parla tanto ad esempio, del quiet quitting, della grande dimissione. In realtà l’uomo ha scoperto altri valori oltre il lavoro e vuole realizzarsi anche in altri ambiti. Se il mondo del lavoro riesce ad accettare che uomini e donne abbiano responsabilità di cura è già un grande passo verso il cambiamento sociale».

Com’è nato il successo «Rame»?

«Nasce dalla visione che il tema della vera indipendenza, della vera libertà di scelta, non solo delle donne, passa dalla capacità di gestire i propri soldi. Bisognava trovare una via narrativa per parlare del tema senza farlo apparire noioso. Così è nato “Rame”, la cui parte forte è il podcast e le storie che racconta. Tante volte chi lo segue si commuove e nessuno si sarebbe aspettata una cosa del genere parlando di denaro. Un successo che non ci aspettavamo con più di diecimila iscritti alla newsletter nel giro di pochi mesi, il podcast ha oltre 30mila download. Si è creata una vera e propria community e ora stiamo cercando di capire come farla evolvere».

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