Il racconto
Silvia, in bikini verde smeraldo
Amore e (in)fedeltà, storia di una coppia borghese raccontata da Francesco Caroli
Una donna sensuale e, corteggiata e piena di visioni, un marito geloso e un’indagine sulla fedeltà reciproca sono al centro del romanzo «Il tarlo», scritto dal giornalista, poeta e scrittore barese Francesco Caroli. Il libro (CTL Editore, pagg. 272, euro 15,00) è un convincente esordio letterario dopo diverse raccolte poetiche. Ne pubblichiamo l’esordio.
Finalmente Silvia Carboni riuscì a sdraiarsi. Si distese lungo il bordo della piscina, su un telo di spugna rosso, dopo averlo dispiegato e sbattuto ben bene prima di depositarlo per terra. Tutti potettero ammirare quel disegno dai larghi nodi marini dorati. Era evidente il suo disperato tentativo di abbronzarsi all’ultimo sole di quel pomeriggio inoltrato d’agosto.
Labbra strette e fronte corrugata, sembrava voler sfidare i pochi bagnanti.
Senza guardarli, si sistemò meglio nella postazione scelta, disdegnando così facendo le sedie a sdraio poste sul prato della piscina de I 40 ladroni, nome indubbiamente all’altezza per un resort moderno ed esclusivo. Affacciato su una baia di sabbia ghiaiosa, si specchiava nell’indaco dell’Adriatico, in quel tratto del Gargano. All’orizzonte, un cielo striato da dolci venature rosate.
In un bikini verde smeraldo, appariscente e di mezza taglia più stretta, la donna era una provocazione per chi la guardava, ma lei sembrava non curarsene. Piuttosto, si sforzava di non perdere di vista la piccola Sofia di appena cinque anni, che faceva il bagno a pochi metri di distanza.
Attenta a non mostrare alcuna emozione, concentrata su tutto quello che gli girava attorno, si vedeva che era particolarmente nervosa. Nemmeno la lettura di un giornale femminile patinato riuscì a tranquillizzarla. La perenne espressione corrucciata era tenuta a bada da larghi occhiali da sole, dalle lenti graduate. Cercò di chiudere gli occhi e rilassarsi, in quel posto così sfarzoso da sembrare eccessivo.
Decise di muoversi, di fare qualcosa. Sua figlia entrava e usciva dall’acqua in continuazione. Poi si mise a sguazzare tutta sola sui primi gradoni della piscina, fatta in modo che anche i più piccoli vi potessero giocare tranquillamente. «È proprio una bella bambina! Occhi azzurri, capelli biondi e lisci. Sembra che sia finlandese...»: fu questo il pensiero che, guardandola, la attraversò come una consolazione benefica.
Aveva ragione il padre, che sempre la contemplava – nelle rare occasioni che stava in casa – ammaliato, quasi in estasi. La bambina era stata per lui un’autentica illuminazione. Quando l’aveva vista la prima volta, subito dopo il parto in ospedale, si era sentito l’artefice di un vero e proprio capolavoro, di aver contribuito a creare un altro essere umano. E, in seguito, non smise mai di viziarla, di coccolarla, di giocare con lei. Era il suo orgoglio, la loro gemma inestimabile, l’oggetto principale dei loro discorsi, che ancora li legava e li teneva insieme.
Silvia osservò Sofia che in quel momento si acquattava quasi contenta nell’acqua.
Pensierosa, la redarguì. Era tempo di andare, le ingiunse in tono perentorio.
Al suo rifiuto, mosse malvolentieri due passi nell’acqua. La prese in braccio con decisione. La piccola tentò di ribellarsi. Poi la avvolse in un accappatoio, per asciugarla, e tornò al suo posto. Passò – per la seconda volta in pochi attimi – davanti a un uomo sdraiato all’ombra di una palma nana, a qualche metro di distanza dal filare degli ombrelloni blu.
Si adombrò all’improvviso. Una sensazione imbarazzante, di essere scrutata in modo insistente su tutto il corpo, le fece sollevare il capo di scatto. Si guardò attorno. Tranne alcuni ragazzotti poco distanti, non vide nessuno. Nonostante questo il formicolio che provava la attraversò per intero.
Con la coda dell’occhio, si accorse dello sguardo malizioso di quel tizio che la seguiva senza perderla di vista un solo secondo.
«Che vuole questo qua?» si interrogò meravigliata.
* * *
Lui, uomo perspicace di ogni sembianza femminile, fissò curioso lo sguardo su quella donna, falsa bionda e dall’aria inquieta: una rabbia evidente che cercava di nascondere dietro a un gran paio di occhiali neri.
Luca Ventrella – così si chiamava l’uomo seduto sotto la palma – fu attratto proprio da quella rabbia repressa, da quelle labbra imbronciate, ben messe in risalto dalle lenti oscurate.
«È una dea... incavolata, ma una dea!» pensò completamente incantato.
Sì, un’aura di mistero avvolgeva la silenziosa e indisponente signora, richiamando inconsapevole gli sguardi dei pochi bagnanti (maschi soprattutto), sdraiati in dormiveglia a raccogliere gli ultimi e preziosi raggi di sole in quell’afoso pomeriggio d’agosto che volgeva al termine.
Svogliato, riprese a leggere il libro che aveva prima poggiato sulle gambe. Dalla carnagione olivastra, abbronzato, petto villoso, capelli neri e crespi, era evidente l’attrazione che provava per quella bagnante ombrosa.
Senza volerlo la guardò in modo concupiscente.
Abbandonò il libro, posandolo – con un gesto di elegante noncuranza – per terra, sulle copie stropicciate dei quotidiani del giorno prima. Pensò – disapprovando ancora – che neanche a Ferragosto i giornali avevano riportato buone notizie. Tra politici rissosi che si accusavano a vicenda e l’economia messa da loro stessi in sofferenza, aveva condiviso in prima pagina il saggio editoriale del quotidiano romano, che sentenziava: «Siamo tutti stufi di questa politica». Altrettanto saggio, ma meno opportuno, gli era parso quello del giornale milanese: «Il collasso ecologico», profetizzava menagramo. Fece gli scongiuri del caso.
Quel lunedì – nel 2010, bontà sua, Ferragosto era ricaduto eccezionalmente di domenica – non aveva potuto sfogliare i due quotidiani, che da anni era abituato a leggere dopo aver fatto colazione. Pure i giornalisti – a giusta ragione – erano andati in vacanza. Se crisi vi era – come alcuni farneticavano – ancora non mordeva voracemente i portafogli delle persone. Figurarsi il suo! Un po’, forse. Le vacanze, anche se per pochi giorni, erano sacrosante e gli alberghi pieni come sempre.
In piscina sin dal primo pomeriggio, sospirando – dopo un’occhiata veloce alle pagine sgualcite, con notizie del giorno precedente – si era dato alla lettura di un buon libro.
Ora, senza alcuna perplessità da parte sua, aveva indiscutibilmente qualcosa di meglio da fare.
Compiaciuto, sorrise per una frazione di secondo, notando come quella donna ricambiava il suo sguardo, pur di sfuggita. Per darsi un’aria, un contegno, Luca Ventrella – ingegnere di Milano – ebbe l’improvvisa voglia di fumare una sigaretta. Scavò nelle sue cose, ma dopo vana ricerca si accorse – infastidito – che non aveva alcunché per accendere.
Scrutò di nuovo la donna, accovacciata ancora al suo posto, sul bordo della piscina. Si avvide che, incuriosita, lei guardava ora alternativamente la figlia, che si era messa a giocare con una faccia rabbuiata, e pure lui, con occhiate rapide e sfuggenti, che indovinava pur velate dal mistero delle lenti.
Luca Ventrella decise così, di botto, come colpito da folgorazione, che quella donna sarebbe stata la sua prossima conquista. Gli piacque l’idea, ma la voglia di fumare lo fece girare con aria inquisitoria, cercando impaziente qualcosa per accendere. Alla sua destra vide un uomo, steso anche lui al sole.
Sembrava a prima vista abbastanza tarchiato. Sulla cinquantina, forse anche più, pressoché calvo. Aveva una mezzaluna di capelli bianchi spruzzati qua e là di grigio, che gli circondava la testa a mo’ di aureola. Fumava.
«Non credo non mi faccia accendere» considerò dubbioso.
Luca Ventrella si alzò, e si avvicinò all’uomo titubante. Lo guardò un attimo negli occhi, per cercare un contatto, e con gentile distacco gli chiese se avesse del fuoco.
Bruno Marra, attraverso sbuffi di fumo ripetuti e nervosi da un mozzicone di sigaretta tenuto tra indice e pollice, ben stretto fra i due polpastrelli, aveva visto arrivare il suo vicino d’ombrellone con passo dinoccolato.
Strizzando più volte le palpebre su pupille scure come inchiostro di seppia, ci mise qualche attimo per capire cosa volesse.
Gli porse l’accendino, con viso sorpreso, in atteggiamento pensieroso e colpevole.
Da molto tempo si sentiva imbarazzato a fumare nei luoghi pubblici ed evitava d’accendersi una sigaretta. Anche perché sua moglie non avrebbe perso occasione per rimproverarlo. E a lui, quelle sceneggiate coniugali di preminenza, soprattutto alla presenza di altri, come nel loro negozio in pieno centro di Bari, lo mandavano in bestia. Non smettevano più di litigare. E lui non voleva incazzarsi!
Perciò, quando era solo, non sapeva farne a meno. In quel momento lei non c’era, e quindi...
Dopo averlo fatto accendere, seguì con lo sguardo l’uomo abbronzato, che si allontanava lanciando spavalde volate di fumo nell’aria surriscaldata d’agosto. Quella sicurezza volutamente esibita gli dette fastidio! Doveva essere del Nord, senz’altro un professionista, un manager probabilmente. Abituato al successo, soprattutto con le donne. Una scaglia della sua improbabile “metà” gli bussò fastidiosa alla mente. Si avvide che l’uomo fulminò con fare ammaliante una donna in bikini verde seduta ai bordi della piscina: una bionda, dalla carnagione scura, tipica delle more, ancora non abbronzata, solo leggermente rosata.
Convenne tacitamente con lo sconosciuto: era proprio una bella donna!
L’attenzione di Marra, rispetto al quadro d’insieme che gli si presentava, venne in un sol momento interrotta dalla figura del capo animatore – sapeva già che si chiamava Massimo Dell’Andro: si era presentato così, tutto giulivo, con quel nome, al loro arrivo in albergo, due giorni prima.
Dell’Andro, con un’improvvisa corsetta concitata, si frappose tra lui e la visuale alla sua sinistra.
«Madonna, che succede mô!» considerò dentro di sé per l’imprevista situazione il commerciante barese.
Bruno Marra perse di vista l’uomo abbronzato e la falsa bionda, oscurati dalla sagoma non massiccia del capo animatore, ben nota ai clienti abituali dell’albergo, come evidentemente non erano lui e la sua chiassosa famiglia, essendo quella la loro prima vacanza nella struttura. La comune e reciproca simpatia, che si era instaurata a prima vista, aveva però contribuito a renderli subito amici. Lui era uno di quei clienti che nelle strutture turistiche partecipano volentieri a tutto: giochi competizioni balli e scherzi organizzati dagli animatori per divertire e divertirsi, durante un’intera, stressante e lunga giornata di lavoro.
Tutto questo pensò sorridendo, nel mentre, con una spinta a molla dell’indice sul pollice destro, gettava di lato, ma lontano dalla sua sdraio, il mozzicone acceso: aveva ancora in mente le sue risate convulse, insieme con quelle sincopate di sua moglie e dei ragazzini, durante i due spettacoli serali che si erano tenuti nell’anfiteatro dell’albergo.
«Mudù’, ce tipe (Madonna, che tipo), è troppo simpatico questo Massimo!» sentenziò Marra, mezzo in barese mezzo in italiano, seguendo molto attentamente le mosse di Dell’Andro.