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santa fizzarotti selvaggi
16 Novembre 2020
«Amor che nella mente mi ragiona»
«Amor che ne la mente mi ragiona». Rebecca leggeva e rileggeva il Convivio. Amava Dante e ogni parola scritta dal divino Poeta sull’amore. I suoi giorni trascorrevano lenti in attesa della notte quando “il silenzio volge in parola” e questa diviene sogno. Si abbandonava tra le braccia di Morfeo con l’innocenza di una bimba per poter incontrare le persone che amava.
Da sola con i suoi desideri ardenti di felicità alla lampada del fior di lumino ascoltava il profondo del cuore. Non aveva molte occasioni per incontrare un amore , quello da sempre fortemente desiderato.
A tratti era colta da noia e una sorta di desolazione . Non la comprendeva nessuno: era come se parlasse un altro linguaggio, come se venisse da un altro pianeta. Rebecca credeva nella totalità dell’amore ma non riusciva a incontrare la pienezza di questo sentimento. In un’epoca del virtuale si sentiva davvero fuori posto: si chiedeva più volte se si potesse parlar d’amore senza svilirlo o in qualche modo non rispettare la dignità dell’amore. L’amore, ripeteva a se stessa nei lunghi pomeriggi d’inverno è misterioso e “ le diverse realtà insieme confonde “ . Le sembrava di aver intravisto a teatro qualche volta un giovane che la guardava . I loro sguardi si erano incontrati e aveva avuto la sensazione di un certo interesse. Ma tutto era finito lì come tutti i pensieri d’ amore ai tempi dell’innocenza. Un giorno per caso fu invitata ad una di quelle noiose cene della cosiddetta «città che conta» e quasi per inerzia, non avendo in quel giorno molte cose da fare, decise di partecipare. E fu così che per Rebecca ebbe inizio una lunga storia d’amore . Difficile ma per lei vera e intensa.
Difficile per lei che credeva nell’ assoluto , nella sublimazione di istinti e pulsioni. E così spesso si chiedeva con W.H.Auden «la verità vi prego sull’amore Ditemi la verità, Vi prego, sull’amore».
Era assorta spesso nei suoi pensieri ricordando con amarezza le violenze subite a causa del suo rigore etico: qualcuno le aveva messo anche le mani alla gola per non farla respirare più, oppure la umiliavano per il suo candore. D’altra parte era una Congregata mariana con relative promesse, la qualcosa in tempi così slabbrati del mondo virtuale in cui il sesso aveva ghettizzato l’amore aveva il sapore del puro anacronismo se non di inibizioni. Rebecca cominciò a frequentare questo giovane dal nome emblematico, David ,che a lei sembrava più bello del sole. Lui sempre premuroso: non un sentimento fugace, no. Ma le attrazioni amorose, si sa, sono tante e dunque la riflessione era d’obbligo. E l’invidia delle amiche o pseudo tali, della costellazione parentale di entrambe le famiglie cresceva: «Non sa cucinare, come farai?» o «Che te ne fai di una così?» e «Ci sono tante belle ragazze, proprio lei dovevi incontrare?», «E quale la sua famiglia di origine» ? Pochi comprendevano Rebecca che si donava senza mai chieder nulla in cambio.
Una sera, dopo mesi di frequentazione pìù o meno assidua da amici fedeli, David la baciò appassionatamente durante la processione del Venerdì Santo: Rebecca si sentì svenire per la prima volta nella sua vita. Un suo amico del cuore degli anni della giovinezza non aveva mai osato: egli, Giovanni, le diceva sempre che i bei fiori non si toccano, si ammirano soltanto. Giovanni l’aveva amata tanto, di un amore platonico. Quel bacio la travolse ma non solo per quella sera . E’ vero che il Fato è superiore agli dèi. Quel giovane così splendente divenne subito oggetto di attenzione da parte di tante belle «signore» del bel mondo che tentavano di ferire la sua giovane innamorata. E Rebecca si ritrovò ad essere scostante tanto da sembrare altera e superba, ma le prove da superare divennero tantissime e complesse, ardue, crudeli, terribili, tanto da pensare di lasciar perdere nella realtà tutto e continuare a vivere nel sogno.
Ma David era tenace se pur abbastanza riservato nel chiarire al mondo la realtà del suo sentimento. Si sposarono con tutti i crismi e una festa da mille e una notte. Rebecca dentro di sé sempre rifletteva sugli incontri del destino e una notte sognò di giungere in una radura remota del cielo più buio dove le stelle splendevano a miriadi quali lucciole nel bosco . Smarrita nell’universo vide una porta di pietra aprirsi dinanzi a se’: una grande mela di rosso rubino le apparve . Lo stupore la colse e nel sogno aggirò la mela per ritrovarsi nel deserto illuminato dalle luci dell’aurora : una tenda e lei bambina che giocava con altri bambini allegri e gioiosi ignari delle perfidie di cui si nutrono molti esseri umani. Aveva un altro nome ma simile a quello attuale: il padre era bello e ieratico, carismatico. Lei ne innamorata persa . E poi si ritrovò vestita di bianco alla fonte zampillante del deserto: d’improvviso nel sogno giunse un guerriero che la rapì e la fece sua schiava. Rebecca si svegliò improvvisamente con il cuore che le batteva forte. La sua sete di libertà le cantava nell’anima da sempre: amore si coniuga con libertà, che in sé nasconde il desiderio . E nella mente di Rebecca c’era il desiderio di felicità, di ritrovare l’antica fonte della felicità, quel sentimento di perdersi l’uno nell’altro per poi ritrovarsi . Amore che viene generato dall’incontro tra esseri umani e tra questi e la natura tutta.
Un amore che la generatività della parola comunica al mondo. La mela di rubino del sogno rappresentava per Rebecca l’amore per la conoscenza, la «parola d’amore» quale epifania, essere al mondo, essere vivi nella continuità della storia mentre disvelava al suo cuore un antico dolore e la invitava a ritrovare speranze all’apparenza smarrite per sempre.
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