l'INTERVISTA all'ex azzurro
Antonio Benarrivo «Vai Brindisi, ora la rinascita»
Calcio e basket spesso convergono verso un’unica passione, coinvolgendo tanti brindisini, come Benarrivo: «Il calcio merita scenari di prestigio: io pronto a collaborare. E l’Happy Casa società modello»
BRINDISI - Da un lato, la rinascita del calcio (mai così vicino nel nuovo millennio al ritorno in terza serie), dall’altro, la conferma ad altissimi livelli del basket (per l’ennesima volta presente nella griglia dei playoff per l’assegnazione dello scudetto).
Lo sport a Brindisi vive un momento davvero magico grazie ai risultati ottenuti dai massimi sodalizi delle due discipline più seguite. Una «vetrina» anche per il territorio in un’ottica di crescita di immagine di una città che aspira a far parlare di sè in un contesto sempre più ampio.
In tale «cornice», calcio e basket... non si pestano i piedi a vicenda e, anzi, spesso convergono verso un’unica passione, coinvolgendo tanti brindisini, anche - tra essi - personaggi sportivi illustri, come nel caso di Antonio Benarrivo, il cui palmares (e, su tutti, il titolo di vice campione del mondo con la nazionale azzurra nel 1994) è noto a tutti. Benarrivo, ex calciatore, ama seguire anche le gare dell’Happy Casa e al PalaPentassuglia la sua presenza è sempre assicurata.
Partiamo dal calcio: a Brindisi è riesploso l’entusiasmo e l’amore. Può essere finalmente il momento della rinascita dopo tante delusioni?
«I presupposti sembrano esserci, ma in piazze come Brindisi una società può andare avanti (e intendo anche come categoria) a condizione che non venga lasciata sola. Le spese sono tante, l’organizzazione deve essere sempre ottimale e soprattutto bisogna programmare a lungo termine. Domenica, contro la Cavese, c’è stata la dimostrazione, con lo stadio pieno, di come i tifosi amino il calcio e, se è in programma la realizzazione di una mega-struttura per il basket, la stessa cosa dovrebbe avvenire per il calcio. Questa platea merita davvero altri palcoscenici».
Arigliano è il primo presidente brindisino dopo i Barretta e con questi ultimi entrasti in società: accetteresti, in caso di proposta, anche stavolta?
«Se dietro c’è un gruppo forte e coeso, potrei mettere anche a disposizione la mia esperienza, non avrei nessun problema. Dietro ci deve essere, però, un progetto serio, deve esserci un centro sportivo per la prima squadra soltanto ed un altro per il settore giovanile che va curato assolutamente. Sarebbe davvero il caso di pensare a realizzarle queste strutture».
Benarrivo di sfide importanti ne ha giocate parecchie: come si vivono queste vigilie?
«Serve tanta serenità, perché la tensione gioca a tuo sfavore del soggetto. Non si deve entrare in campo con un peso già sopra le spalle. La squadra ha fatto una rincorsa incredibile grazie ad un girone di ritorno fantastico: devono farne solo tesoro e continuare la striscia positiva senza avere troppa pressione addosso. Ci sono caratteri che soffrono tanto la tensione e l’importanza della posta in palio, non riuscendo poi in campo ad esprimersi come vorrebbero. Massima serenità, come con la Cavese, mettendo in campo una squadra super-organizzata».
Da tempo, ormai, sono pochi i giocatori brindisini nella rosa della prima squadra? Da cosa dipende?
«Beh, non c’è dubbio che dipenda dal modo con cui viene curato il vivaio. A Brindisi abbiamo varie società satellite che, per una questione logistica, ma soprattutto di importanza, portano i giovani talenti a Bari o a Lecce. Ecco, se il Brindisi dovesse tornare, come mi auguro, nella serie professionistica, bisogna riorganizzare tutto, perché dal settore giovanile una società può e deve trovare una sorta di economia per andare avanti. Non puoi solamente comprare e vendere giocatori, ma qualcuno dal vivaio lo devi tirare fuori».
Dal calcio al basket: come è nata questa passione?
«Avevo 11-12 anni ed ero uno di quelli che alle due del pomeriggio ero già al palazzetto per trovare un posto. In pratica, la mia paghetta settimanale... se la mangiava il biglietto per vedere la Bartolini. Inoltre, ho praticato il basket nelle palestre, mentre a calcio giocavo per strada. Questa passione mi è sempre rimasta e continuo ancora a coltivarla. Un plauso va ovviamente alla società che, oltre a consentire ad una piccola città come Brindisi di restare in serie A per tanti anni, si distingue per la grande organizzazione, curata nei minimi particolari. Hanno un marketing di altissimo livello e con tanti sponsor che contribuiscono nel budget per affrontare un campionato di così alto livello».
Un’ultima domanda: i successi nello sport quale peso possono avere nella crescita del territorio?
«Tantissimo. Lo sport è una forma anche di riscatto sociale ed è il motore di ogni cosa, in primis perché consente a Brindisi di farsi conoscere e di far parlare di sé. Noi abbiamo una delle città più belle d’Italia, con tante potenzialità poco sfruttate. Speriamo in un futuro migliore, e in tale contesto naturalmente ci metto il ritorno tra i professionisti anche del calcio, perché Brindisi merita scenari più prestigiosi».