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Antonio Calò
11 Ottobre 2019
Dopo avere vinto due scudetti ed una coppa Italia con la Juventus, Pietro Paolo Virdis è approdato al Milan, fregiandosi di un altro titolo tricolore, nell’87/88, e trionfando, nell’88/89, in Champions League e nella Supercoppa italiana. Dopo avere militato nel club rossonero, con il quale ha collezionato 135 presenze e firmato 53 reti, il bomber sardo ha indossato la maglia del Lecce, nell’89/90 e nel 90/91, scendendo in campo 46 volte e realizzando 8 gol. È quindi un doppio ex della compagine meneghina e di quella salentina, che si troveranno di fronte al «Meazza», domenica 20 ottobre.
«Per il Milan, quello attuale è un momento delicatissimo - sostiene Virdis -. I tifosi sono adirati, in quanto da troppe stagioni vedono all’opera un brutto “Diavolo”. Le società che si sono susseguite hanno speso per ingaggiare 10-12 calciatori nuovi ad ogni edizione di mercato, invece di puntare su 4-5 cavalli di razza intorno ai quali costruire nel medio termine un team competitivo. Attualmente il Milan è composto da giocatori di medio livello, molti dei quali giovani, che, stante il clima creatosi intorno a loro, scendono in campo con mille timori ed hanno sin qui espresso un pessimo calcio. Né l’avvento di Pioli può capovolgere la situazione in pochi giorni. Il Lecce è reduce dalla sconfitta di Bergamo, condita da una prestazione negativa, ma suppongo che in casa giallorossa si sapesse in partenza che, in serie A, il cammino sarebbe stato irto di ostacoli. A Suso e compagni, invece, è stato chiesto di raggiungere la zona-Champions. Insomma, le pressioni graveranno sulle spalle dei padroni di casa, che avranno sulla testa la spada di Damocle della contestazione, qualora la sfida non si incanalasse sui binari giusti».
Il Lecce ha raggranellato 6 lunghezze in 7 incontri, il Milan 3 in più: «Considerato il calendario in salita, punto più, punto meno, penso che i salentini siano in linea con il cammino di un complesso destinato a lottare per la salvezza, che tra l’altro è tornato ad affacciarsi nella massima serie dopo tante stagioni di assenza. Non si può dire la stessa cosa per i rossoneri, a maggior ragione perché, oltre ad avere raccolto poco, hanno messo in mostra un calcio non all’altezza delle aspettative».
Fabio Liverani chiede ai propri uomini di inseguire il risultato attraverso un calcio propositivo. È la strada giusta per conquistare la permanenza?
«Da alcuni anni, le compagini che hanno quale traguardo la salvezza non erigono le barricate, ma provano a giocarsela. Gli allenatori moderni vogliono che la manovra venga impostata sempre dal basso. Quando la cifra tecnica della rosa non è eccelsa, però, si rischia di fare molta fatica, soprattutto se gli avversari pressano i portatori di palla al limite dell’area di rigore. Se il Lecce si salverà esprimendo anche un bel calcio meriterà doppi applausi, in quanto per una matricola la serie A è difficilissima».
Che ricordi ha delle due annate vissute nel Salento?
«Dopo avere fatto parte, in rossonero, di una delle squadre considerate più forti al mondo, ho accettato la chiamata del sodalizio salentino, che voleva crescere, mettendomi a disposizione di un ottimo trainer come Mazzone. La prima stagione è stata estremamente positiva, in quanto raggiungemmo la permanenza. Nella seconda, sul piano dei risultati, le cose non andarono bene».
Assenti i sei calciatori impegnati con le rispettive nazionali, ieri il Lecce ha sostenuto una doppia seduta di lavoro. Gianluca Lapadula ed Andrea Tabanelli hanno seguito un programma personalizzato.
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