il processo
Brindisi, il racconto di Romano davanti al giudice: «Ci siamo presi un arsenale»
Romano ha fatto riferimento al furto nell’armeria in piazza Sapri, nel rione Santa Chiara, che avvenne nella notte del 17 agosto 2012
«Avevamo la disponibilità di armi dopo il furto fatto a Brindisi. Erano oltre cento pezzi». La conferma è arrivata dal collaboratore di giustizia Andrea Romano, 38 anni, di Brindisi, già condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Cosimo Tedesco, avvenuto il primo novembre del 2014 nell’abitazione di una palazzina nel rioneSant’Elia in cui il pentito abitava, e per il tentato omicidio di Luca Tedesco, figlio della vittima.
Romano è stato ascoltato nuovamente dal tribunale di Brindisi di fronte al quale si sta celebrando il processo ordinario nei confronti dei sei imputati, accusati a vario titolo di associazione di stampo mafioso ed estorsioni, tentate e consumate, ai danni di commercianti e imprenditori, nel periodo compreso tra il 2018 e il 2020. Si tratta del troncone scaturito dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, chiamata Nexus, che il 21 giugno 2022 sfociò nell’esecuzione di dieci ordinanze da parte dei carabinieri. Ruolo di primo piano venne contestato al brindisino Ivano Cannalire, nel frattempo condannato in primo grado a 17 anni e quattro mesi, al netto della riduzione per aver scelto il processo con rito abbreviato. Hanno scelto il dibattimento il padre e i fratelli di Cannalire.
Romano, ascoltato in collegamento video da un sito riservato, ha fatto riferimento al furto nell’armeria in piazza Sapri, nel rione Santa Chiara, che avvenne nella notte del 17 agosto 2012. «Erano più di cento pezzi, tra pistole e fucili e sono rimaste nella nostra disponibilità fino al 2018», ha precisato in udienza, dopo aver indicato anche due brindisini come autori materiali del colpo, uno dei quali parente di Ivano Cannalire. I due nominativi non figurano nell’elenco degli imputati.
Romano ha riferito anche di aver assistito alla richiesta di armi che Cannalire avrebbe fatto al padre, usando il telefonino cellulare di cui aveva la disponibilità mentre era detenuto in carcere a Taranto. «In quella occasione chiese di procurargli una 45 e una 9X21. Io ero a fianco a Cannalire quando chiamò il padre», ha precisato. La telefonata sarebbe avvenuta nella saletta del carcere, spazio in cui i detenuti si ritrovano per svolgere alcune attività.
Per ammissione di Romano, l’ultimo contatto con Cannalire sarebbe avvenuto otto giorni prima dell’inizio del suo percorso di collaborazione. Il primo interrogatorio sostenuto da Romano con i pubblici ministeri dell’antimafia di Lecce risale al 18 dicembre 2020.