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La vita dopo il virus
Giuseppe Dimiccoli
17 Marzo 2020
BARLETTA - «C’è un contagio, oltre al coronavirus, che rischia di lasciare segni incancellabili nella nostra società: la didattica a distanza». Scherza, ma non troppo, Carmine Gissi dirigente scolastico di lungo corso ora al comprensivo «Giovanni XXIII» di San Ferdinando.
E poi: «La sospensione delle attività didattiche per un tempo così prolungato come mai era avvenuto dagli anni del dopoguerra, testimonia la gravità del momento. Milioni di studenti a casa e nuova organizzazione della vita quotidiana in famiglia. Il Governo ed il Ministero dell’Istruzione hanno fronteggiato tale inedita situazione invitando, con diversi provvedimenti normativi, i dirigenti scolastici ad “attuare modalità di didattica a distanza”, per non lasciare gli studenti e le loro famiglie nel disorientamento e senza punti di riferimento».
Gissi precisa: «L’organizzazione delle lezioni a distanza è stata lasciata all’autonomia delle scuole che hanno messo in campo moltissime esperienze di didattica digitale con l’obiettivo di dare continuità, seppure a distanza, ai percorsi formativi ed educativi e quindi alle relazioni con i ragazzi. Ma nonostante la dedizione e la disponibilità della maggior parte dei docenti, degli studenti e delle loro famiglie non poche perplessità ed incertezze sono sorte attorno a questo necessario ed encomiabile tentativo di fronteggiare le conseguenze dell’emergenza sanitaria».
Il preside Gissi provando a riassumerle «senza pretesa di completezza: la cosiddetta» si chiede: «ma la “didattica a distanza” ha un fondamento normativo nella legislazione scolastica? Si può obbligare i docenti ad attuarla, se le attività didattiche sono sospese? E con quali modalità organizzative? E con quali strumenti, se non tutti gli studenti e le loro famiglie dispongono di computer, tablet o dispositivi adeguati? Non c’è il rischio di nuove povertà e disuguaglianze educative? E poi: tutti i docenti hanno le necessarie competenze per l’utilizzo di piattaforme e-learning che ormai il mercato digitale mette abbondantemente a disposizione? Quanti di essi l’hanno sperimentato con i loro studenti? Può la didattica a distanza essere assimilata alla didattica digitale? E nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria come si interviene? C’è la possibilità di un feedback sugli interventi a distanza o addirittura di una valutazione degli argomenti trattati? Si può andare avanti col programma o bisogna limitarsi al consolidamento di contenuti già svolti?».
Ancora: «Infine la domanda delle domande: può la didattica a distanza (che alcuni ritengono essere una contraddizione in termini) pensare di poter sostituire la relazione d’aula fra docenti e studenti?».
«Tale groviglio di problemi è stato nei giorni scorsi ancor più complicato dall’atteggiamento di taluni dirigenti scolastici e docenti con atteggiamenti prescrittivi e burocratici (si usano obbligatoriamente alcune piattaforme digitali e non altre, si firma obbligatoriamente il registro elettronico, si conteggia il tempo dedicato alla didattica a distanza, si indicano procedure di verifica e valutazione non concordate con Organi collegiali impossibilitati a riunirsi, etc.) che non hanno certo contribuito a creare quel clima di cooperazione, responsabilità ed impegno necessario - ha puntualizzato -. Non è difficile immaginare, come sta avvenendo in molte Scuole, che i risultati migliori e le pratiche più interessanti provengono da quei docenti che già avevano sperimentato con i loro studenti segmenti di didattica a distanza, complementari alla didattica ordinaria, normale, di tutti i giorni, dove docenti e studenti dialogano, si confrontano e sperimentano nuove modalità di apprendimento».
La conclusione: «Un ripensamento della didattica tradizionale e la necessità di un serio piano di aggiornamento di tutti i docenti sulle competenze digitali è certamente il lascito dell’emergenza coronavirus, la cui lezione speriamo sappia essere adeguatamente tenuta in considerazione quando l’epidemia sarà passata.
Intanto è opportuno tralasciare ogni forma di fanatismo pedagogico, dettato più da “ansie di prestazioni” che da valutazioni serie e ponderate delle nuove necessità che la scuola deve fronteggiare al tempo del coronavirus, senza mai dimenticare che insegnare è sempre costruire una relazione, sia nella didattica in presenza che in quella a distanza».
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