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La denuncia
Gianpaolo Balsamo
25 Marzo 2019
Vengono avvistati ormai un po’ dovunque, in alcuni casi anche nei nostri centri abitati.
Distruggono raccolti agricoli, provocano danni ed incidenti stradali. I cinghiali, mammiferi simili ai maiali, spaventano il Nord Barese e si moltiplicano alla velocità della luce.
È la Murgia più profonda a essere colpita duramente da questo sovrappopolamento di ungulati. Le masserie più isolate. I campi, gli allevamenti. I cinghiali imperversano padroni per le strade delle nostre campagne e i danni alle coltivazioni e non solo sono incalcolabili. Gli agricoltori, oramai, sono stanchi di dover ogni mattina risistemare i muretti, rimettere in sesto le colture, fare la conta dei capi di bestiame assaltati.
l’allarme A lanciare l’allarme è Confagricoltura Bari-Bat. «Siamo in una situazione estremamente critica - dice il presidente Michele Lacenere - ma la Regione Puglia tarda ad avviare la normativa sul controllo venatorio dei cinghiali e le cifre stanziate per i risarcimenti dei danni, così come i programmi avviati di cattura incruenta, sono decisamente insufficienti e lasciano insoddisfatti gli agricoltori».
Il problema dei danni alle coltivazioni arrecati dagli ungulati sta assumendo una rilevanza notevole soprattutto per l’impatto economico che ne deriva. Il rischio denunciato da Confagricoltura è che, trascurando il problema e procrastinando le soluzioni, si determini da parte degli agricoltori della zona la convinzione che avere cura dell’ambiente sia un’inutile perdita di tempo.
il rischio «In una situazione in cui, ogni intervento di protezione del territorio e della fauna, come della proprietà privata e dei prodotti agricoli, viene vanificato dai continui assalti dei cinghiali - afferma Lacenere - la risposta degli agricoltori rischia di essere quella di abbandonare queste attività, ormai ritenute inutili. Sono i paradossi di un ecologismo privo di logica».
D’altra parte, spesso il ritardo nell’arrivo dei rimborsi finisce con lo scoraggiare gli imprenditori a presentare le richieste di risarcimento.
La necessità di proteggere le coltivazioni e gli armenti, fonte di reddito e di alimento, aveva determinato l’emanazione di normative che portavano alla riduzione delle popolazioni di quegli animali che venivano considerati, fino agli anni ’70 del secolo scorso, “nocivi”.
Legge sulla caccia «Una nuova coscienza ecologica, unitamente alla necessità di salvaguardare alcuni animali oramai in via d’estinzione - spiega il presidente di Confagricoltura Bari-Bat - determinò un repentino cambio nella considerazione di tali problemi e le normative furono aggiornate in tal senso». L’ultima legge sulla caccia, la 157 del 92 («Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»), mostrava un indubbio favore nei confronti della tutela delle specie selvatiche. Alcune specie più aggressive si erano fortemente ridimensionate: confinati i lupi sugli Appennini e i cinghiali nelle riserve, la gestione dei “nocivi”, termine oramai scomparso dalla cultura venatoria, si limitava al risarcimento dei danni causati dai corvidi o dai carnivori minori.
Gestione allegra Ma la situazione in Puglia e in particolare nella Murgia settentrionale è negli ultimi anni radicalmente cambiata. «Una gestione molto allegra dei ripopolamenti di cinghiali a fini venatori, - afferma Lacenere - effettuati senza controllo e discernimento tecnico con l’utilizzo di soggetti non autoctoni in areali fortemente urbanizzati ha determinato, da subito, una situazione di allarme nelle comunità locali. La situazione è degenerata quando, a seguito dell’istituzione di vaste aree protette, venendo meno la pressione venatoria, i cinghiali sono accresciuti e le scorribande dei branchi senza controllo, in area protetta e non, sono divenute insostenibili».
Il disinteresse A fare il resto ci avrebbe pensato, secondo l’organizzazione, il disinteresse della politica. «Manca - dice il presidente di Confagricoltura Bari-Bat - una legge sul controllo venatorio dei cinghiali. Le sollecitazioni, a concordare una soluzione radicale del problema, inviate dalle Organizzazioni Professionali Agricole alle autorità regionali sono sempre state pressanti ma, ad oggi, nessuna risposta certa è arrivata e, soprattutto, il problema viene affrontato senza la necessaria continuità di lavoro, lasciando che il malessere delle popolazioni locali salga così come l’intolleranza, che oramai è dilagante, verso la fauna selvatica tutta. È veramente necessario portare la società civile ad una posizione così radicale per trovare una soluzione netta a tale situazione? La risposta non può che essere demandata all’autorità che ha l’onere della gestione della fauna e del territorio».
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