di GIOVANNA LAGUARDIA
POTENZA - Val d’Agri: oro nero, lavoro... grigio. Questo il bilancio delle estrazioni petrolifere in Basilicata, dal punto di vista dei lavoratori, in base ad una indagine sull’indotto industriale e di servizi del centro oli di Viggiano e dei pozzi petroliferi, condotta da Davide Bubbico, dell’Università di Salerno, e presentata ieri da Cgil, Fiom e Filcem. In particolare, secondo la documentazione raccolta dal sindacato, a fronte di una produzione di petrolio che va dai 73.375 barili del 2 settembre 2008 ai 65.855 del 9 gennaio scorso, il sito estrattivo della Val d’Agri, con i suoi 22 pozzi attualmente attivi sui 47 previsti dal progetto di sviluppo, il centro oli della capacità di 104mila barili al giorno e il suo oleodotto di 136 chilometri, dà lavoro stabilmente a 450 lavoratori (130 al centro oli, 50 per servizi amministrativi, 100 per gestione e presidio pozzi, 50 per gli impianti di perforazione, 60 per manutenzione del centro oli, 15 nella gestione dei sistemi di sicurezza, 15 nella fornitura di prodotti chimici, 30 per servizi vari), di cui soltanto il 50 per cento lucani, di cui pochissimi con qualifiche ad elevato contenuto professionale. A questi si aggiungono altri 14 addetti che lavorano per conto di altre ditte appaltatrici, compresi i servizi di trasporto del greggio. Secondo i dati rilevati nel mese di settembre dello scorso anno, le aziende che lavorano nell’indotto del Centro Oli di Vigginao sono 83, di cui 24 lucane (7 della provincia di Matera e 17 della provincia di Potenza).
Le imprese locali che lavorano in applato per il centro oli si occupano di servizi ambientali (5), manutenzione elettrica (4), Opere civili (3), carpenteria metallica (2), manutenzione impianti (2), manutenzione meccanica (2) autotrasporto, montaggi meccanici, servizi di controllo e sicurezza , pulizia industriale, servizi in genere, servizi ingegneristici (una per ciascun settore). La maggior parte delle aziende che lavora nell’indotto della Val d’Agri proviene dal centro Nord ed in particolare dall’Abruzzo e dalla Lombardia. «Complessivamente - è scritto nel dossier petrolio e lavoro della Cgil - il numero dei lavoratori che costituisce il potenziale bacino di impiego (ovvero il numero di lavoratori potenzialmente impiegabili nell’appalto oggetto del contratto ndr) è stimabile in circa 1500; quelli delle 24 aziende locali sono poco più di un terzo (550 addetti).
Insomma, come fa rilevare la ricerca presentata dalla Cgil, «siamo bel lontani da quelle “significative ricadute occupazionali connesse all’indotto” come pure la Regione Basilicata ha scritto in passato nel programma operativo regionale, quando questa ricaduta era stimata in circa mille unità». Ma la denuncia del sindacato non riguarda soltanto le ricadute occupazionali «striminzite » che avrebbe avuto in Val d’Agri il programma di estrazioni petrolifere, ma anche la sperequazione tra lavoratori e lavoratori.
«All’interno del centro oli di Viggiano - ha detto il segretario regionale della Fiom Giuseppe Cillis nel corso della presentazione del documento - permangono situazioni contrattuali diversificate che a volte determinano situazioni di vera e propria disuguaglianza di trattamento tra lavoratori, sia in termini di condizioni di lavoro e di salario, sia di situazioni legate alla prevenzione dei rischi per la salute, che tende a variare a seconda delle caratteristiche dell’azienda per la quale si lavora. Succede così che i lavoratori che per un certo numero di anni sono alle dipendenze di un’azienda, quando cambia l’appalto non solo rischiano il posto di lavoro, ma sul piano dei diritti contrattuali iniziano da capo, come se per loro fosse il primo giorno di lavoro e così succede che un lavoratore a 50 anni si vede costretto a rinunciare ai diritti acquisiti per ottenere un nuovo contratto di lavoro che a volte è anche a termine».
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