C'è un esercito di sportivi, migliaia di calciatori delle squadre dilettantistiche lucane, da quelli di Terza categoria a quelli di Eccellenza, che ogni domenica scendono in campo senza alcuna assistenza. Né medica, né infermieristica, né, tanto meno, con una ambulanza a bordo campo o con un defibrillatore a portata di mano. Ogni domenica sui campi di calcio della Basilicata si rischia, e non sembri allarmismo o sensazionalismo, la vita. E lo sanno bene tutti gli addetti ai lavori, dai dirigenti del Comitato regionale lucano della Federazione italiana gioco calcio (Figc), ai presidenti di società, ai dirigenti, agli allenatori, agli stessi giocatori, spesso anziani o senza o con scarso allenamento. Gli esempi che provengono dalla cronaca degli eventi sportivi, la testimonianza raccolta da Ludovico Iannotti nel suo letto d’ospedale di Policoro, le dichiarazioni del medico sociale delle squadre rappresentative del Comitato regionale e della Santarcangiolese, Giu - seppe Vollaro, quelle di un dirigente del Trecchina, Daniele Iannotti, la dicono lunga sulla realtà domenicale sportiva di Basilicata. Almeno, per quel che attiene allo sport più amato dai tifosi, il calcio. Da qui la proposta della Gazzetta: non si giochi più la domenica nessuna partita in regione se nella panchina, per lo meno della società di casa, non siede un medico. Un professionista che, all’oc - correnza, potrà essere di aiuto non solo ai calciatori della sua squadra, ma anche a quelli della squadra avversaria e della stessa terna arbitrale. Se poi, anche la squadra ospite avrà un medico tra i suoi tesserati in panchina, tanto di guadagnato. Di più: se la società di casa è in grado di avere una autoambulanza a bordo campo meglio ancora. Meglio ancora se ci sarà a disposizione, magari negli spogliatoi, un defibrillatore. La presenza del medico sociale nella panchina di casa, però, è essenziale. Emani una direttiva ad hoc il presidente della Figc di Basilicata, Piero Rinaldi, che non può restare insensibile al richiamo alla sicurezza dei calciatori che viene dai campi della regione. E non si accampino motivi economici per lasciare le cose come stanno, nell’assoluta indifferenza. Si, la presenza domenicale di un sanitario può avvenire anche solo per pura passione, ma anche se dovesse trattarsi di una prestazione professionale retribuita le società non cerchino scusanti. Sin dalla Terza categoria, senza parlare delle serie superiori per finire alla Promozione ed alla Eccellenza, si pagano gettoni di presenza e premi partita ai giocatori che arrivano, magari, da fuori regione. Si pagano, allo stesso modo, ed anche con fissi mensili, allenatori e preparatori atletici. In qualche caso si pagano anche i direttori sportivi. Perché non pagare anche un medico sociale? Daniele Iannotti è un dirigente del Trecchina. Era segnalinee, domenica scorsa, a Sanseverino, quando il fratello Ludovico, giocatore della sua squadra, cadde, esanime, a terra dopo un duro contrasto. La sua è una testimonianza shock ed un appello allo stesso tempo: «È stato un dramma. Per due interminabili minuti Ludovico era diventato cianotico, non respirava più, completamente incosciente. Gli abbiamo aperto la bocca con le dita. Né un massaggio cardiaco né la respirazione bocca a bocca. Nient'altro che aprirgli la bocca ed alzargli le gambe. Nessuno di noi era in grado di fare un massaggio cardiaco. Abbiamo già chiesto interventi urgenti al presidente Rinaldi. Sì, la proposta che lancia la Gazzetta è giusta. Noi non giocheremo mai più, almeno nelle partite in casa, senza un medico a disposizione. Abbiamo già preso contatto con la Croce rossa di Lauria. Da domani noi avremo un medico in panchina ed una ambulanza a disposizione dei giocatori e della terna arbitrale. Noi appoggiamo incondizionatamente la proposta del vostro giornale: non giocheremo più senza assistenza medica a bordo campo».
Filippo Mele