Melfi, lassassino della badante era il convivente
di FABIO AMENDOLARA MELFI - Ai carabinieri ha raccontato tutto ciò che ha fatto quella mattina. E lo ha ripetuto più volte senza molte contraddizioni. Le impronte delle sue scarpe erano impresse nelle chiazze del sangue che la sua convivente Mariya Alferenok, 53 anni, badante ucraina, aveva perso durante il pestaggio. Il suo alibi, però, ha retto solo per poche ore. Davanti alle contestazioni dei carabinieri del Nucleo investigativo di Potenza, Vito - così è conosciuto a Melfi, dove il connazionale della donna lavorava occasionalmente come parcheggiatore abusivo davanti alberghi e ristoranti - è crollato
27 Dicembre 2011
di Fabio Amendolara
MELFI - Ai carabinieri ha raccontato tutto ciò che ha fatto quella mattina. E lo ha ripetuto più volte senza molte contraddizioni. Le impronte delle sue scarpe erano impresse nelle chiazze del sangue che la sua convivente Mariya Alferenok, 53 anni, badante ucraina, aveva perso durante il pestaggio. Il suo alibi, però, ha retto solo per poche ore. Davanti alle contestazioni dei carabinieri del Nucleo investigativo di Potenza, Vito - così è conosciuto a Melfi, dove il connazionale della donna lavorava occasionalmente come parcheggiatore abusivo davanti alberghi e ristoranti - è crollato.
Il movente? «Gelosia morbosa», dicono gli investigatori. Era geloso di un ex fidanzato di Mariya che ancora le ronzava attorno. E allora l’ha uccisa. Almeno secondo i carabinieri. Pare che la Procura abbia vietato di fornire il nome del sospettato ai giornalisti prima della convalida dell’arresto. Sono state fornite le sue iniziali: «V. Y.». E l’età: «33 anni». Ma Vito a Melfi è molto conosciuto e in tanti nella giornata di ieri sono andati da uno degli ex datori di lavoro a chiedere cosa fosse accaduto. Affronterà l’udienza di convalida con un avvocato d’ufficio.
Pare che gli orari e gli spostamenti forniti dal ragazzo siano in contrasto con la ricostruzione del medico legale. La morte della donna viene fatta risalire al tardo pomeriggio del 22 dicembre. E Vito, per il lasso di tempo indicato dal medico legale, non ha testimoni che possano confermare i suoi spostamenti. «Sono bastate alcune ore ai militari della compagnia carabinieri di Melfi per stringere il cerchio intorno all’assassino», scrivono i carabinieri nel comunicato stampa con cui annunciano di aver sbrogliato il giallo che ha tenuto gli abitanti di via Porta Calcinaia - una piccola strada del centro storico di Melfi accessibile solo a piedi - col fiato sospeso. È stato proprio Vito a chiamare i carabinieri alle 13 del 23 dicembre. Mariya era già morta da molte ore. I carabinieri l’hanno trovata sul suo letto, con il volto tumefatto. «A conclusione delle indagini, protrattesi fino a notte fonda, è risultato essere proprio il 33enne il carnefice», scrivono gli investigatori. L’aveva ridotta in schiavitù: la picchiava e viveva alle sue spalle, sfruttandola. I carabinieri lo definiscono «un parassita». Per i magistrati della Procura di Melfi è un assassino. E «ha ucciso per futili motivi».
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