Industria
Stellantis, l’indotto continua a spegnersi
Dopo il caso Brose anche la Pmc mette in esubero 95 dipendenti
Una piccola commessa per la Tonale, una piccola commessa che è sufficiente, a malapena, a garantire la presenza di quindici lavoratori. Troppo pochi rispetto ai novantacinque assunti, impiegati fino a qualche tempo fa alla Pmc, azienda dell’indotto Stellantis, oggi senza commesse e con la pesante ombra dei licenziamenti e della chiusura definitiva. Una condizione complessa confermata ieri anche al tavolo romano del Ministero delle Imprese e del Made in Italy in cui l’azienda, dopo i venti di crisi che l’hanno colpita, ha annunciato la decisione di «liquidare la società» e di dichiarare l’esubero dei 95 dipendenti. Scelta che pesa come un macigno e che agita non poco sindacalisti e lavoratori considerato con il termine dell’attività produttiva è arrivato anche l’esaurimento degli ammortizzatori sociali. Con tutto quello che questo comporta per i lavoratori e le loro famiglie. Così dopo la Brose, prima azienda dell’indotto ad aver licenziato gli addetti, ora sulla stessa strada è incamminata la Pmc, anche se, per il momento, la società ha deciso di congelare la decisione sino al prossimo 22 ottobre.
«Si tratta di una vicenda drammatica che, evidentemente, necessita di strumenti straordinari» tuonano i sindacati che spingono perché sia Stellantis a riassorbire gli addetti a seguito anche dell’internalizzazione delle produzioni. «Abbiamo ribadito la necessità di evitare i licenziamenti ed attivare tutti gli strumenti utili per tutelare l’occupazione – commenta Gerardo Evangelista, segretario regionale della Fim Cisl - Vogliamo il coinvolgimento diretto di Stellantis per garantire il riassorbimento dei lavoratori, l’individuazione di ammortizzatori sociali adeguati con il supporto della Regione e del Ministero del Lavoro e l’attivazione di percorsi di riqualificazione oltre alla riapertura delle uscite incentivate». Indicazioni precise, dunque, che finiranno anche sui tavoli regionali lucani. E questo perché l’obiettivo di Fiom, Fim, Uilm e Fismic è quello di avere l’impegno della Regione, prima del prossimo tavolo previsto per il 22 ottobre, nel sostenere il 20 per cento del contributo addizionale alla cassa integrazione che oggi l’azienda non può pagare. «Dobbiamo correre per evitare i licenziamenti ed il blocco del reddito per tante famiglie. Per questo serve trovare uno strumento di cassa integrazione per capire il prosieguo» conclude Evangelista , mentre a parlare di «partita iniziata» è il segretario regionale della Fismic, Pasquale Capocasale. «Dal punto di vista industriale soluzioni non ci sono ,dal punto di vista della salvaguardia dell’occupazione la partita è iniziata ieri – sottolinea Capocasale - La Pmc non ha più commesse, non ha preso le commesse per i nuovi modelli. Dal 26 ottobre non ha ammortizzatori in essere. Non si possono utilizzare quelli ordinari perché non ha più nessun tipo di produzioni e non può garantire il 20 per cento di presenza di lavoro all’interno. Dobbiamo andare sugli strumenti in deroga. È chiaro che non vorremmo perseguire la strada della cassa integrazione per cessazione attività ma avere, in una prima fase, agli ammortizzatori previsti attraverso l’area di crisi complessa che, al momento, hanno un residuo di 700mila euro quindi non si può prevede la durata». «Ora, però, mettiamoci al sicuro e prendiamo le risorse per guardare al futuro» tuona l’esponente sindacale, confermando che le interlocuzioni di questi giorni saranno fondamentali per capire quali chances di futuro avranno gli addetti della Pmc.