In nessun’altra parte del mondo c’è una varietà di lingue come nel territorio lucano, dove ognuno dei 131 paesi ha un proprio dialetto. Non a caso siamo diventati meta di glottologi e studiosi provenienti da tutto il mondo, attratti da questo «magma» linguistico che rischia di dileguarsi, cancellando la testimonianza del passaggio di francesi e spagnoli, svevi e normanni, greci e romani, albanesi e saraceni
29 Gennaio 2010
di Massimo Brancati
POTENZA - Basilicata, laboratorio internazionale per lo studio dei dialetti. In nessun’altra parte del mondo c’è una varietà di lingue come nel territorio lucano, dove ognuno dei 131 paesi ha un proprio dialetto. Non a caso siamo diventati meta di glottologi e studiosi provenienti da tutto il mondo, attratti da questo «magma» linguistico che rischia di dileguarsi, cancellando la testimonianza del passaggio di francesi e spagnoli, svevi e normanni, greci e romani, albanesi e saraceni.
Un crogiuolo di culture, fra Europa e Mediterraneo, che ha lasciato il segno nei linguaggi custoditi e tramandati: lo dimostrano i 131 dialetti censiti sul territorio lucano nell’Atlante linguistico della Basilicata. Si tratta di un lavoro di ricerca portato avanti da Patrizia Del Puente, docente di Glottologia e linguistica dell’ateneo lucano, che incarna l’interesse per la Basilicata mostrato dagli studiosi: vincitrice di un concorso a Perugia e trasferitasi a Potenza per scelta. «Qui - dice Del Puente - ci sono dialetti diversi anche in comuni ubicati a pochi chilometri di distanza tra loro. Un patrimonio culturale ed espressivo che merita di essere portato all’attenzione della comunità scientifica internazionale».
Alcuni linguisti sostenevano che, in breve tempo, i dialetti sarebbero stati soppiantati completamente dall’italiano...
«Sbagliato. Ripeto, è un patrimonio culturale di valore pari a quello di qualsiasi emergenza architettonica o ambientale, che come tale va riconosciuto e tutelato».
In questa direzione va la mappatura dei dialetti?
«Sì, vogliamo salvarli prima che vengano distrutti e consentire agli studiosi di avere un quadro completo per attuare studi teorici che sono importantissimi».
Saranno pure archiviati i 131 dialetti lucani, ma rischiano comunque di scomparire. Nelle nostre famiglie si parla sempre più italiano, al massimo «imbastardito» da inflessioni dialettali, e l’uso del dialetto viene associato all’ignoranza...
«La vera ignoranza è considerarlo così. L’unica differenza è che l’italiano è usato in tutti i contesti comunicativi, mentre il dialetto viene parlato solo in ambiti informali, quale quello familiare, ma è una lingua a tutti gli effetti. Basti pensare al dialetto napoletano e alla letteratura che ne è nata intorno».
Perché lei dice che la Basilicata ha una sua unicità nel panorama dialettale internazionale?
«Sul territorio lucano, unica realtà al mondo, convivono tutti i sistemi vocalici delle lingue romanze (lingue di derivazione latina), dal balcanico al romanzo occidentale, dal sardo al siciliano. Inoltre qui, oltre ad aree alloglotte, come l’arbereshe, si trovano colonie di tipo settentrionale, come quelle galloitaliche».
A proposito di arbereshe. Perché la comunità albanofona in Basilicata ospita spesso giovani universitari albanesi che vogliono studiare la lingua dei loro avi?
«La lingua che si parla oggi in Albania è relativamente moderna, nata nella prima metà del ‘900. L'arbereshe che si parla nei nostri comuni risale al ‘400 e non ha mai avuto contatti con la lingua standard. È rimasta intatta».
Chi parla arbereshe viene compreso da un albanese?
«Sì, anche se si tratta di una lingua arcaica. È come se oggi venisse da noi Dante e parlasse il suo fiorentino: non usa la nostra lingua, ma non avremmo difficoltà a capirlo».
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