Una pista lucana nell’inchiesta che ha fatto scattare le manette in Calabria. L’azienda era la principale cliente della «Palmieri Francesco» sequestrata ieri. Ha ricevuto più di 23mila tonnellate di rottami • Rifiuti connection del Metapontino
08 Gennaio 2010
di GIOVANNI RIVELLI
A Lamezia Terme erano rottami ferrosi, a Potenza, e in altre regioni del Sud, arrivavano come «materia prima secondaria», ossia rifiuti recuperati e riutilizzabili come materia prima. Ma in realtà quei rottami, auto demoliti, parti di veicoli, elettrodomestici ecc, non avevano subito alcun trattamento di recupero se non la «mera riduzione/adeguamento volumetrico e soprattutto miscelazione» e non erano stati trattati da una ditta autorizzata a questa attività. Non materiale primo, ma rifiuti che finivano anche negli altoforni della SiderPotenza per essere trasformati in tondino di ferro per costruzione destinato a tener su la stragrande maggioranza delle costruzioni nel Mezzogiorno.
La Basilicata si ritrova così coinvolta nell’operazione «Acciaio sporco» messa a segno ieri dai carabinieri del Noe di Lamezia Terme in collaborazione con quelli del nucleo investigativo di Catanzaro e che ha portato all’arresto di un imprenditore calabrese, Francesco Palmieri, titolare dell’omonima azienda, a 10 provvedimenti di obbligo di presentazione alla pg e di sette al'obbligo di dimora» nei confronti di altrettanti dipende dell’impresa e al sequestro della stessa azienda e di 39 suoi camion, per un valore di 15 milioni di euro, con l’iscrizione nel registro degli indagati di 166 persone.
L’azienda, spiegano gli inquirenti, era autorizzata alla «raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi» ma, secondo l’accusa, era al centro di una vera e propria organizzazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti speciali, in particolare dedita alla commercializzazione all’ingrosso di rottami ferrosi. Una gran quantità di questi rottami, qualcosa come oltre 24mila tonnellate di rottami ferrosi, sarebbe finita secondo quanto si legge nell’ordinanza ottenuta dal sostituto procuratore di Catanzaro Domenico Galletta, proprio «allo stabilimento della SiderPotenza con sede in Potenza al rione Betlemme, del gruppo Ferriere Nord Spa, con sede legale ad Osoppo (Ud)». Per i magistrati calabresi nello stabilimento potentino «materiale qualificato come materia prima secondaria, e in particolare “rottame ferroso” per un quantitativo complessivo pari a kg. 24.392.450 (quantitativo approssimativo in quanto su alcune registrazioni non è stato indicato il quantitativo e pertanto non sommato) di cui soli 866.500 chili relativi al mese di dicembre 2007. 1.343970 chili relativi al mese di gennaio 2008, 375.190 chili relativi al febbraio 2008, come documentato dai documenti di trasporto sottoposti a sequestro il 13/10/2008.
Opportunamente - prosegue l’ordinanza del Gip di Catanzaro - si rammenta che lo stabilimento SiderPotenza, come accertato pe r le vie brevi presso il Noe dei Carabinieri di Potenza, non è assolutamente autorizzato alla così detta gestione di rifiuti; produce “tondini di acciaio” per l’edilizia, attraverso la fusione di metalli ferrosi materia prima secondaria» e si evidenzia anche che «lo stabilimento SiderPotenza risulta essere stato il ricettore in modo continuativo e quantitativamente più rilevante della materia prima secondaria, così detta “rottame ferroso”, commercializzata dall’azienda Francesco». A questo punto è bene precisare che cosa sia la «materia prima secondaria».
Per le norme italiane sono materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche: «1) rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero completo» e «2) i rottami o scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche di cui al numero 1)».
Secondo l’accusa della procura di Catanzaro, quanto è finito alla SIderPotenza non era nulla di tutto questo, ma rottami pressati puri e semplici. E quella massa di rifiuti, trasformata in tondini si troverebbe ora nelle costruzioni di mezza italia se è vero come è vero che nel 2004, con orgoglio, il gruppo Pittini, che è proprietario dal 2002 dello stabilimento potentino, in un incontro con i giornalisti annunciò che dai calcoli fatti emergeva «che l’80 per cento delle costruzioni edilizie di ogni genere realizzate nel Mezzogiorno avvenga con acciaio prodotto a Potenza». Non solo statistica, ma soldi, visto che per il gruppo «Ferriere Nord -Pittini» lo stabilimento nel capoluogo lucano l’anno prima aveva fruttato 155 dei 580 milioni di fatturato totale. Il principale cliente, a quanto emerge dall’ordinanza, per Palmieri che aveva trovato il modo di avere un doppio guadagno. Da un lato, infatti, con quanti gli conferivano i rifiuti (in totale 96 aziende, 7 Comuni e 21 soggetti privati), risparmiava i soldi del corretto smaltimento, dall’altro commercializzando quel ferro vecchio, incassava soldi dalle vendite. Un sistema realizzato tramite due società, da un lato la «Palmieri Francesco», autorizzata a «raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi», da un altra la «Ecofuturo» di cui lo stesso Palmieri era amministratore unico, ufficialmente dedita al commercio di materiali ferrosi, ma in realtà utilizzata solo per il trasporto della presunta «materia prima secondaria» prodotta dalla «Palmieri Francesco» presso, secondo quanto spiegato ieri dai carabinieri, alcune «aziende compiacenti» che ne effettuavano la trasformazione. E nell’elenco delle aziende destinatarie la principale è, appunto la SiderPotenza.
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