Ex-Liquichimica, salta la bonifica: a rischio l'acqua lucana
di GIOVANNI RIVELLI L'ultima nota del Ministero dell'Ambiente denunciava il cattivo stato di conservazione della pellicola in polietilene in cui i «veleni» sono ingabbiati e il rischio che l'inquinamento giunga tramite il torrente Tora a inquinare anche il Basento. Ma bonificare 210mila metri cubi di materiale non è uno scherzo. E i fondi a disposizione non bastano manco ad avviare l'opera
13 Agosto 2009
POTENZA - Il Ministero dell’Ambiente dà l’ultimatum per avviare la bonifica dell’area dell’ex Liquichimica, a partire da quella «bomba» che sono i fanghi stipati nella «vasca fosfogessi». Dieci i giorni per avviare a soluzione la questione (come riportato dalla Gazzetta la scorsa settimana) ma poche illusioni: i soldi non ci sono. La bonifica, insomma non si farà. Almeno per ora. Il problema più grande, per la bonifica del sito, sembra essere proprio quella vasca di fosfogessi che pure sembra essere stato l’elemento trascurato in tutti questi anni.
«L’esplicita richiesta di bonifica della vasca fosfogessi, per la quale l’Asi si è già attivato - spiegano dal Consorzio - risale solo al 30 luglio scorso con la nota ministeriale inviata al Consorzio». Eppure quello è il problema che sembra più grande. Proprio l’ultima nota del Ministero denunciava il cattivo stato di conservazione della pellicola in polietilene in cui i «veleni» sono ingabbiati e il rischio che l’inquinamento giunga tramite il torrente Tora a inquinare anche il Basento. Ma bonificare 210mila metri cubi di materiale non è uno scherzo.
«In Basilicata -spiega il commissario del Consorzio Ernesto Navazio alla Gazzetta - non esiste una discarica in grado di smaltire tutto quel materiale. O bisogna inviarlo fuori o bisogna autorizzare l’ampliamento di un impianto». Ma neanche questo problema sembra essere all’ordine del giorno. E questo sempre per la mancanza di fondi.
Al momento, alla bonifica dell’area di Tito Scalo «sito inquinato di rilevanza nazionale» sono stati assegnati 2,5 milioni di euro dal Ministero. A conti fatti sarebbero proprio quelli necessari per bonificare le acque di falda, che presentano in particolare valori oltre soglia di Manganese e del cancerogeno Tricloroetilene. Ma di quei soldi, effettivamente, è arrivato un solo milione che se n’è andato nelle prime operazione di «caratterizzazione» (il rilievo dello stato del sito) e altre attività, come la bonifica dai materiali contenenti amianto. Il resto, insomma, è tutto da fare.
E quando si dice il resto si dice la bonifica delle acque di falda e lo svuotamento della vasca fosfogessi. La prima questione è quella che richiede tempi più lunghi, ma al tempo stesso, somme più contenute. Due milioni e mezzo di euro, come già detto, con le acque di falda che vanno pompate in superficie per un lungo periodo, custodite in barili e processate come rifiuti speciali. Tempo necessario, 5 o 6 anni, ma servono finanziamenti continui, perchè se il processo si interrompesse si ritornerebbe punto e a capo.
Più veloce, ma più costosa, la bonifica della vasca dei fosfogessi. Stando alle stime del consorzio servono 8 milioni di euro e un paio di anni. Se tutto va bene. Perchè fino in fondo, in quei grandi sigari di polietilene portati alla luce da un’inchiesta del Pm Henry John Woodcock con la polizia Provinciale del tenente Giuseppe Di Bello, nessuno sa fino in fondo cosa ci sia. La stima è riferita al tipo di materiale emerso dai sondaggi fatti, ma se i valori (ad esempio quello della radioattività connessa ai fosfogessi), in corso d’opera dovesse rivelarsi diverso, i costi, i tempi e le difficoltà potrebbero lievitare. Al momento di tutti questo soldi non c’è un centesimo. E, così, l’ultimatum sembra destinato restare lettera morta. di GIOVANNI RIVELLI
Lascia il tuo commento
Condividi le tue opinioni su