La città verticale Potenza e il gioco della gravità
di LORENZA COLICIGNO Che il capoluogo lucano sia una città verticale non sfugge ai suoi abitanti, abituati a percorrerla dal basso in alto e viceversa nei loro usuali impegni, ma le magie dei «Retouramont» in piazza Pagano hanno tenuto la gente col naso all’insù. Corpi, luci e ombre sui palazzoni con l’«Arte in transito» promossa da Basilicata 1799 • Bacharach, Baglioni e Cammariere nell’estate materana
30 Giugno 2009
di LORENZA COLICIGNO
«Noi condividiamo il fascino del corpo catturato nella verticalità. Il movimento impossibile, quando si trova, dà l’illusione che di una scena dove non c'è più né corpo né scenografia, solo una poetica immagine della perturbazione di gravità». Così Geneviève Mazin e Fabrice Guillot, della compagnia «Retouramont», ospite dell’iniziativa «Arte in Transito», a cura di Basilicata 1799, offrono la chiave di lettura all’evento, mentre disegnano con i loro movimenti di danza, ora delicati ora aggressivi, lo spazio verticale di Piazza Mario Pagano a Potenza.
Che il capoluogo lucano sia una città verticale non sfugge ai suoi abitanti, abituati a percorrerla dal basso in alto e viceversa nei loro usuali impegni. Questa idea ha origine dal fiume, dalla stazione, dal ponte Musmeci, già «danzato» l’anno scorso dalla compagnia francese, per risalire fino a Piazza Mario Pagano; la città, concentrata in alcune zone fortemente urbanizzate con edifici di 6-7 piani mediamente, con punte di 14 a valle, sollecita a volgere lo sguardo all’insù, risalendo anche lungo le occhiute pareti dei suoi palazzoni. Percorrere la mappa che ogni città osservata dall’alto disegna, secondo le indicazioni di Massimo Cacciari nell’intervento su Arte e Città, fino alla volta celeste e occuparne il vuoto (saldamente assicurati a corde emoschettoni e garantiti da una tecnologia ad hoc, ovviamente), abitare quindi inedite prospettive dello spazio urbano, è stato possibile grazie alla performance della compagnia di danza Retouramont. Il palazzo Ina, rigida struttura architettonica di epoca fascista, ha rivelato una inedita vocazione di tappeto per danza, di cui i piedi, le mani, i corpi dei danzatori hanno esplorato tutte le possibilità di scorrimento, aggancio e lancio.
La danza ha anche coinvolto la parete verticale del Palazzo Brienza. Qui il movimento ha abitato le nicchie del portone d’ingresso e ha sottolineato la leggerezza delle traforate ringhiere dei balconi sulla piazza. La danza, ripresa dalle immagini proiettate sulla parete-pavimento dell’Ina, ha forzato le leggi della gravità del corpo e dell’immaginazione. Particolarmente suggestivo l’intreccio di ombra e luce, di nero e bianco, nel la coreografia che ha intrecciato una immensa silhouette, proiettata sulla facciata, con il corpo bianco di un altro danzatore. L’ombra e la luce, con tutto il loro bagaglio di simboli, sono stati i veri compagni di questo viaggio reale e immaginario nello spazio urbano della città di Potenza. La passeggiata sulla «quinta» parete della piazza, segnata da due corde lanciate tra il tetto del palazzo Ina e quello del palazzo della Prefettura, evidenziando un confine non definibile altrimenti, ha esaltato la sensazione di sospensione delle regole della gravità che è stato il vero spirito dell’evento.
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