il caso
Bari, l'omelia del parroco a un mese dalla morte del bimbo in culla termica: «Questa vicenda mi ha cambiato la vita»
La riflessione di don Antonio Ruccia davanti ai suoi fedeli: «Provo un immenso dolore, non posso fare a meno di pensarci»
BARI - Accanto alla culla termica ancora sigillata e sotto sequestro spunta una piccola immagine sacra, una Madonna che abbraccia Gesù bambino. Più in là, sulla ringhiera grigia sono appesi cinque peluche. «Angelo» non è riuscito a giocarci perché qui, nella culla della vita in cui poteva essere salvato, ha invece trovato la morte.
Esattamente un mese dopo il ritrovamento del cadavere, davanti alla chiesa San Giovanni Battista piove e fa freddo. È domenica e don Antonio Ruccia, come sempre celebra messa. In chiesa i fedeli stringono le candele accese perché si ricorda la Candelora, ovvero la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme.
A fine funzione, il sacerdote, senza mai fare esplicito riferimento a quanto è accaduto un mese fa, si è detto profondamente addolorato per la tragedia in cui Angelo ha perso la vita. Facendo un parallelo con la storia di Luigi e Maria Grazia, i neonati salvati dalla culla termica (in sacrestia ci sono due foto in cui il sacerdote sorridente li abbraccia entrambi), don Antonio spiega ai fedeli che se quelle storie gli avevano dato immensa gioia, cambiandogli la vita in un senso positivo, anche la drammatica vicenda di Angelo, gli ha cambiato la vita per sempre, purtroppo in un altro senso. Tragico. Non c’è giorno che passi, senza che don Antonio non pensi al piccolo Angelo che non c’è più.
Il dramma umano del religioso viaggia parallelo rispetto all’inchiesta penale. Il bambino - che l’autopsia ha accertato essere deceduto per ipotermia, quindi per il freddo - sarebbe stato vittima di un insieme di malfunzionamenti tecnici che avrebbero impedito alla culla termica di attivarsi, all’allarme di scattare, alla chiamata di emergenza collegata al telefono del parroco di partire e al riscaldamento di creare nell’ambiente il tepore necessario a tenere in vita il neonato.
Per questo don Antonio e l’elettricista Vincenzo Nanocchio sono indagati per omicidio colposo: il sacerdote in qualità di custode della culla, nella ipotesi che la manutenzione del dispositivo fosse sua responsabilità; l’elettricista per essere stato il tecnico che dieci anni fa aveva installato la culla e che di tanto in tanto veniva chiamato quando qualcosa non funzionava, come accaduto l’ultima volta il 14 dicembre. In quella occasione ha spiegato di aver cambiato un alimentatore e di aver poi verificato che il sistema era tornato a funzionare.
Non è escluso che il bambino sia stato lasciato nell’incubatrice (poi rivelatasi guasta) già la sera del 31 dicembre (l’autopsia avrebbe stabilito che il neonato, disidratato, sarebbe deceduto 20-26 ore prima rispetto al ritrovamento), quando nel trambusto dei botti, una donna che abita di fronte all’ingresso della parrocchia avrebbe udito dei vagiti, scambiati per miagolii. Il dubbio che si trattasse del pianto di un bambino le è venuto solo quando ha saputo del ritrovamento del neonato morto. La sua testimonianza è già agli atti dell’indagine.
L’inchiesta farà il suo corso, ma adesso è solo il momento per ricordare Angelo. Lo fa don Antonio, lo fa la comunità che si riunisce nella parrocchia del quartiere Poggiofranco. La pioggia, intanto, non accenna a smettere. È un giorno freddo e triste.