Le motivazioni della sentenza
Bari, dieci condanne per il duplice agguato mafioso del 24 settembre 2018
Sono oltre 250 le pagine di motivazioni della sentenza di primo grado sul duplice agguato mafioso che il 24 settembre 2018 causò, dopo un inseguimento culminato a Carbonara, la morte di Walter Rafaschieri e il ferimento del fratello Alessandro
BARI - Le lettere dei killer dal carcere con le scuse alla mamma delle vittime per la sofferenza causata, il racconto della guerra in atto alcuni anni fa tra i clan Palermiti e Strisciuglio per la gestione dello spaccio a Madonnella e, soprattutto, le presunte connivenze tra pubblici ufficiali e criminalità, quella cosiddetta «zona grigia» dove si sarebbe disposti, in cambio di qualche spicciolo, a favorire il mafioso di turno rischiando - come poi è accaduto - di buttare all’aria credibilità, carriera e libertà.
C’è tutto questo nelle oltre 250 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado sul duplice agguato mafioso che il 24 settembre 2018 causò, dopo un inseguimento culminato a Carbonara, la morte di Walter Rafaschieri e il ferimento del fratello Alessandro. Complessivamente il gup Giuseppe Battista ha condannato dieci imputati: ergastolo a Giovanni Palermiti, figlio del capo clan di Japigia Eugenio, 20 anni al pluripregiudicato Filippo Mineccia, genero del boss (i due esecutori materiali del delitto, rei confessi), 5 anni di reclusione (per corruzione e falso) all’ex comandante dei vigili di Sammichele Domenico D’Arcangelo, accusato di aver aiutato Palermiti a costruire un falso alibi, inducendo una sua vigilessa a redigere un falso verbale di violazione al codice della strada, una multa per guida contromano, per attestare la presenza del figlio del boss a Sammichele nel giorno e nell’ora dell’agguato. In cambio, D’Arcangelo avrebbe ricevuto un Iphone del valore di 800 euro e una somma di denaro. «Che lo smartphone fosse stato effettivamente consegnato - scrive il gup - ha finito per ammetterlo lo stesso D’Arcangelo, sia pur tentando maldestramente di elidere ogni collegamento tra la dazione e il falso verbale di contravvenzione. Tale versione è doppiamente inverosimile: egli si sarebbe prestato gratis et amore dei a commettere un illecito penale, coinvolgendo un’ignara collega, in favore di un soggetto che a suo dire conosceva solo superficialmente, ma sapeva essere figlio di un malavitoso».
INFEDELE MA NON MAFIOSO - Nei confronti di D’Arcangelo il gup ha escluso l’aggravante mafiosa per «la mancanza di elementi certi sui quali fondare il convincimento in ordine alla consapevolezza, in capo al pubblico ufficiale, che il falso verbale di contravvenzione servisse a “coprire” la partecipazione di Palermiti all’efferato delitto. L’argomento del “non poteva non sapere” - si legge nella sentenza - non ha trovato riscontro, sicché non può essere utilizzato per affermare che D’Arcangelo intendesse agevolare Palermiti in quanto leader della omonima consorteria malavitosa». Il giudice, tuttavia, evidenzia la personalità «negativa» dell’ex comandante dei vigili, per via di una «familiarità con ambienti malavitosi» e dei «poco lusinghieri giudizi espressi dai colleghi», oltre a vicende risalenti ad anni passati - riferite anche da alcuni collaboratori di giustizia - che tuttavia non sono mai state riscontrate né sfociate in procedimenti penali - come aver agevolato l’occupazione abusiva di una casa popolare. Vicende «che ovviamente - scrive il gup - avrebbero avuto certamente risultati più proficui se fossero state approfondite a quell’epoca». E comunque, sulla figura di D’Arcangelo, sarebbe emersa una «propensione all’abuso» e alla «sopraffazione», che tuttavia non proverebbe la consapevolezza del pubblico ufficiale di aver contribuito a costruire al figlio del boss «l’alibi di ferro», la prova che avrebbe escluso la presenza di Palermiti sul luogo del delitto.
LE SCUSE DEI KILLER - I due esecutori materiali dell’agguato, i pluripregiudicati Giovanni Palermiti e Filippo Mineccia, tra aprile e giugno 2022 hanno confessato chiedendo scusa. Il figlio del boss si è detto «assolutamente consapevole della gravità delle mie condotte e sono profondamente addolorato per la sofferenza provocata ai congiunti delle vittime ed in particolar modo per il dolore che ho causato alla madre dei fratelli Rafaschieri. Attraverso la presente dichiarazione, pertanto, rivolgo le mie più sentite scuse a tutti i parenti delle vittime dei miei reati». Mineccia ha spiegato, in una lettera al giudice, che «stando in carcere si capiscono tante cose e una queste è la cosa cosa brutta che ho fatto alla famiglia Rafaschieri e il danno procurato alla mamma, a cui voglio chiedere scusa e un giorno spero nel suo perdono»