Persone fragili
Bari, minorenni da salvare al «Fornelli»: storie di disagio e di speranza
Il racconto di Giovanni (nome di fantasia) che ad esempio finirà di scontare la sua pena tra 6 mesi. Oggi ha 23 anni. Fu arrestato a Milano
BARI - «Dialoghi ai margini» all’interno dell’istituto penale per minori «Fornelli». L’occasione è la presentazione del libro di Nicola Schingaro «Ma perché non sono un delinquente?» ma ha consentito un dialogo fitto e serrato con i giovani ospiti dell’istituto che hanno raccontato le loro storie, le proprie emozioni, mettendosi a nudo. Giovanni (nome di fantasia) ad esempio finirà di scontare la sua pena tra 6 mesi. Oggi ha 23 anni. Fu arrestato a Milano. «Al nord è tutta un’altra vita, ci sono occasioni di lavoro, mi piacerebbe fare il barman o lavorare nelle cucine di un ristorante. Cominciai a rubare piccole cose da bambino con gli amici poi ti rendi conto che a 16 o 17 anni sei entrato in un tunnel». Certo, il senso di responsabilità individuale conta ma la società spesso offre modelli particolari. «Se un uomo politico va con tante donne voglio andarci anche io e voglio avere le stesse cose che ha lui, il mio modello è Belen», dice Mario.
Schingaro, docente a contratto di Sociologia della cultura nel dipartimento di Scienze politiche, è nato e cresciuto nel quartiere San Paolo. «Ho avuto la grande fortuna di nascere in una famiglia operaia che poteva contare su una fonte di reddito, con genitori che pur non avendo titoli di studi elevati, hanno avuto la straordinaria intuizione e credevano che attraverso la scuola e l’istruzione ci sarebbe stato un riscatto pur vivendo in quel quartiere in cui all’inizio degli anni ‘70 in cui era facilissimo rovinarsi». L’autore si è salvato grazie alla sua famiglia che ha trasmesso «non solo valori e norme, ma anche un sostegno al percorso di costruzione di un progetto di vita orientato verso l’istruzione ma tante famiglie hanno costruito un progetto di vita immediatamente rivolto al mondo del lavoro ma il lavoro all’epoca c’era». Bisogna lavorare molto sul sé, bisogna abbattere i modelli sub-culturali dell’appartenenza al clan. Giovanna Magistro presidente di Meters, centro studi di ricerca sociale e ricercatrice sociale realizza i laboratori della devianza. «Chi è cresciuto e si è sviluppato moralmente all’interno di una subcultura criminale ha valori e norme diverse da quelli del resto della società. Quindi rubare, spacciare o diventare un baby-killer possono essere visti come qualcosa di normale perché è un comportamento accettato e trasmesso all’interno di determinati ambienti».
Le possibili soluzioni: «Conosciamo anche storie di riscatto come quella di Enziteto, dove il cinema ha salvato una generazione altrimenti andata per dispersa ma penso alle periferie animate nel quartiere Santa Rita a Carbonara».
Elvira Tarsitano oggi è una brillante biologa e direttrice generale di Abap, associazione di promozione sociale: «Ho avuto io stessa un’adolescenza difficile e rischiavo di smarrirmi ma mi sono salvata grazie alla mia caparbietà ed oggi coordino progetti che puntano ad aiutare chi vive ai margini». Il direttore del Fornelli, Nicola Petruzzelli ha compiuto un’analisi severa sulla società che è all’esterno: «Se non ci attrezziamo a costruire percorsi che aiutino questi ragazzi a inserirsi nel mondo del lavoro queste saranno parole inutili, non vedo purtroppo nessuno della politica impegnato in questa direzione».