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Giuseppe De Tomaso
17 Gennaio 2021
Il paradiso? Sarà come Amalfi. No, sarà come Capri. No, sarà come Napoli. No, diciamo noi, sarà come la Puglia. Anche per questa ragione Bari e Taranto (con la Grecìa salentina) meritano il titolo di capitale della cultura.
Gli amalfitani, antica e prestigiosa potenza marinara, si portarono sùbito avanti nel marketing territoriale. «Il giorno del giudizio - riporta una targa nel centro cittadino - per gli amalfitani che andranno in paradiso, sarà un giorno come tutti gli altri». Chapeau. Uno spot autocelebrativo, ma geniale. Autore: il poeta Renato Fucini (1843-1921), meglio conosciuto sitto lo pseudonimo di Neri Tanfucio.
Anche i napoletani ambiscono, da sempre, al rango (per la loro città) di paradiso in terra. Ma non nascondono, da secoli, il loro scetticismo. «Napoli è un paradiso abitato da diavoli» riassumeva Arlotto Mainardi (1396-1484), detto il Piovano Arlotto, battutista fiorentino (oggi sarebbe una via di mezzo tra Vittorio Sgarbi e Maurizio Crozza), famoso per il suo inesauribile e irresistibile serbatoio burlesco. Qualcuno, più tardi, attribuirà la velenosa istantanea dell’Arlotto nientemeno che al tedesco Johann Wolfgang von Goethe (1749-1823), innamorato pazzo del Sud Italia e della terra dei limoni. Di sicuro la fotografia arlottiana non lascerà indifferente, semmai perplesso («È un proverbio che non ha più corso»), il napoletano Benedetto Croce (1866-1952) che titolerà, un secolo fa, proprio così, «paradiso abitato da diavoli», un suo saggio ripubblicato pochi lustri addietro a cura di Giuseppe Galasso (1929-2018).
Pippo Corigliano, ingegnere e scrittore, per 40 anni portavoce dell’Opus Dei, nel libro Preferisco il Paradiso, ha voluto prefigurare il facsimile della location più ambita dai moribondi. Sarà più o meno come Capri, ha profetizzato Corigliano.
Ok. Napoli, Capri, Amalfi sono meraviglie della natura, ma la Puglia non è da meno. Anzi. La Puglia è più paradisiaca della costa campana, non foss’altro perché alle beltà tirreniche aggiunge una vivibilità adriatico-jonica di gran lunga superiore. E siccome non si vive solo d’estate, quando gli elevatissimi numeri dei turisti in Costiera fanno venire il capogiro, ma si vive pure nelle altre tre stagioni dell’anno, eccoti che la Puglia può realizzare il sorpasso nella graduatoria delle regioni più edeniche, più beate del pianeta.
È questa la cornice naturale che rende più che fondata la candidatura di Bari e Taranto (più Grecìa salentina), alleate per la bisogna, a capitale italiana della cultura. Chiunque dovesse farcela tra le due concorrenti, sarebbe tutta la Puglia a salire al settimo cielo.
La Puglia è cultura a cielo aperto, anche se questo assunto sovente sfugge agli stessi pugliesi, come a volte accade a chi non si accorge di essere un privilegiato. Bari non ha bisogno di testimonial speciali, ingaggiati a uso televisivo. È sufficiente raccogliere le confessioni di molti forestieri, precari o stanziali, per apprendere che - a dispetto delle periodiche classifiche del Sole 24 Ore, qui, nella città di San Nicola, si vive meglio che altrove e che le attrazioni culturali dell’antica e nuova Peucezia rappresentano lo strepitoso valore aggiunto del nostro territorio. Idem Taranto. Lasciamo stare l’industria pesante che, come temevano gli economisti einaudiani degli Anni Cinquanta, né avrebbe generato l’atteso sviluppo economico, né avrebbe preservato l’allora incontaminato ecosistema. Ma è sufficiente farsi un giro in città e nelle immediate vicinanze per respirare tuttora l’aria d’antan, per inseguire le vestigia della più deliziosa Magna Grecia, di cui Taras fu splendida e aristocratica capitale.
Intendiamoci. Sia a Bari sia a Taranto si poteva fare molto di più, nei decenni scorsi, per ottimizzare al meglio beni culturali così irripetibili e inestimabili. Ma non è mai troppo tardi, specie quando il bene cultura termina di essere solo un fiore all’occhiello da mostrare, e da omaggiare, nei convegni più disparati e si trasforma in un motore irresistibile di crescita economica. In fondo che cosa manca al Sud, oltre alla fibra ottica e alle altre infrastrutture materiali e immateriali, se non lo sfruttamento dei suoi giacimenti storici, da cui si può estrarre e vendere cultura a voluttà? Ma per mettere a reddito l’investimento in cultura, che nessun competitore asiatico ti sgonfierà mai sotto il naso, è necessario, come si dice, voltare pagina. Stop ai finanziamenti aumma-aumma per accontentare i cerchi magici in auge, stop alle corsie preferenziali per chi paga le campagne elettorali della Razza Potentona, stop alla parcellizzazione degli incentivi finanziari, la cui conseguenza diretta conduce a fare di ogni evento il contraltare più o meno riuscito (o grottesco) di una sagra paesana.
Diventare capitale della cultura significa crescere sotto tutti i punti di vista, significa dare una lezione etico-umanistica a tutti i nemici del pensiero riflessivo e critico. Significa contrastare, anche con i grandi numeri delle masse interessate, quella forza anti-intellettuale rappresentata dai social. Diventare capitale della cultura significa, o dovrebbe significare, sollecitare i più a riflettere e studiare, lasciando al suo destino quell’ideologia dell’istante che conduce a grandi numeri, ma a modesti risultati di apprendimento.
Bari, Taranto, la Grecìa salentina hanno le carte in regola per ambire all’allettante riconoscimento. Hanno anche le carte in regola per far bene in caso di aggiudicazione finale, nel verdetto di domani. Merito dei due sindaci, Decaro e Melucci, i due Comuni sono partiti col piede giusto, senza pestarsi i piedi, semmai manifestando uno spirito di gruppo poco frequenti in una terra di campanili divisivi e di gelosie ossessive.
Insomma, se toccherà a una di loro, le città di Bari e Taranto (con la Grecìa salentina) possono dimostrare, nel segno dell’intera Puglia, che il Sud non è un paradiso abitato da diavoli, ma un paradiso ansioso di ospitare, grazie al Fattore Cultura, i veri angeli dello sviluppo, la cui missione principale dev’essere, innanzitutto, quella di non disperdere i lasciti del passato. Programma vasto e ambizioso? Chissà. L’importante è non gettare i soldi dall’elicottero, come si fa quando non si vuole scontentare nessuno.
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