La riflessione

Il dividendo «fatale»

Francesco Saponaro

Il libro, pubblicato da Laterza, ha la firma di Mariana Mazzucato, tra l’altro consulente del Governo Conte, ed un titolo che incuriosisce: Non sprechiamo questa crisi

Accompagnato da una campagna pubblicitaria è arrivato in libreria e nelle edicole un volume che promette nuove idee per rinnovare la società e l’economia dopo la crisi del COVID, idee rivolte soprattutto agli intellettuali e alla classe dirigente della sinistra. Il libro, pubblicato da Laterza, ha la firma di Mariana Mazzucato, tra l’altro consulente del Governo Conte, ed un titolo che incuriosisce: Non sprechiamo questa crisi. L’autrice ha conquistato una certa notorietà divulgando la tesi, riassunta nel volume Lo Stato innovatore, di una maggiore valorizzazione del ruolo di promotori dell’innovazione già in alcuni casi assunto dagli Stati mediante notevoli investimenti pubblici, di cui hanno poi beneficiato le compagnie industriali private.

RETE L’esempio classico e più conosciuto è quello della rete Internet, nata in ambito militare, senza di cui società oggi ricchissime come Google e tante altre non sarebbero nemmeno nate. L’idea della Mazzucato è quella di invogliare gli Stati a replicare in modo consapevole e strategico degli schemi simili anche in campi nuovi come quello della economia verde o circolare. Con una novità però rispetto al recente passato. Mentre finora i benefici degli investimenti pubblici sono stati monopolizzati dalle imprese private, che hanno conseguito profitti altissimi, da ora in poi bisognerebbe studiare un meccanismo che introduca una sorta di dividendo di cittadinanza. L’idea è suggestiva ma di difficile declinazione pratica. Finora l’azione pubblica per socializzare, almeno parzialmente, gli utili conseguiti dalle imprese private ha assunto le sembianze della tassazione e, nel caso delle reti di proprietà statale, della concessione d’uso mediante il pagamento di un canone corrispettivo. Una strada diversa è stata seguita quasi esclusivamente dalla Cina con la creazione di imprese pubbliche anche nei settori dell’economia digitale e della green economy. Nel volume di cui ci occupiamo si propone una strada nuova, ovvero la costituzione di una specie di Fondo sovrano pubblico alimentato dagli utili aziendali, che andrebbero poi, come accade in Alaska per le entrate petrolifere, ribaltati sui cittadini. Di qui il nome di dividendo di cittadinanza.

CAPITALE AZIONARIO Ma come fare per mettere in opera questa proposta? Da qualunque parte si affronti il tema si arriverà inevitabilmente alla conseguenza che lo Stato dovrebbe entrare con proprio capitale azionario all’interno delle aziende private. Ma, a quel punto, non si vede il vantaggio di una partecipazione di minoranza, con i relativi oneri e rischi, rispetto alle classiche strade della tassazione degli utili o della proprietà pubblica integrale di una compagnia. Il problema diventa definitorio. Se il servizio pubblico della sanità o della scuola o dei sussidi alla popolazione in condizioni di povertà fosse definito dividendo di cittadinanza certamente non cambierebbe la sostanza di queste politiche. L’impressione è quindi che il tentativo di lanciare nel mercato delle idee un nuovo originale prodotto non sia in questo caso molto riuscito. La conferma viene dalle altre proposte, in parte anche condivisibili, contenute nel libro: utilizzare gli appalti pubblici per indurre innovazione ecologica, impiegare i disoccupati in lavori di pubblica utilità soprattutto sul fronte ambientale, lasciar perdere gli equilibri di bilancio per immettere ingenti risorse a sostegno dell’economia. Si tratta come si vede di proposte in molti casi corrispondenti alla pratica già in uso in molti Stati. Quindi nulla di particolarmente nuovo. Poco originale è anche il richiamo critico al cosiddetto neoliberismo che percorre l’intero volume. La condanna del neoliberismo, che aveva un preciso significato all’epoca della deregulation reaganiana o thatcheriana, si è trasformata nel mainstream di buona parte della sinistra in una parola dal significato confuso e incerto. Finisce oggi per indicare tanto le privatizzazioni industriali che il rilievo assunto dal settore finanziario che le politiche di austerità intese come tendenza al pareggio di bilancio.

RETORICA Oggi che i populisti di ogni latitudine si sono impossessati dell’obiettivo della spesa in deficit con più convinzione della sinistra e tornano ad usare la retorica fascista contro le plutocrazie economiche e finanziarie, sarebbe forse consigliabile l’utilizzo di categorie con maggiore presa analitica e, soprattutto, la ricostruzione dei pilastri programmatici di una moderna sinistra capace di radicalismo e concretezza comunicabili in termini semplici ed efficaci ai cittadini. Insomma, per dirla tutta, meglio un disegno di reale progressività fiscale che comprenda anche le rendite finanziarie, nobile e antica idea di sinistra, che l’inseguimento di innovazioni solo verbali sempre in cerca di terze o quarte vie.

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