Puglia sotto il segno della croce di ferro

di Cosimo Damiano Fonseca

Nell’immaginario collettivo, non solo popolare, la figura del cavaliere teutonico è legato a un simbolo, a un film e a un romanzo. Il simbolo è la croce nera dello stemma teutonico che, all’indomani della guerra di liberazione contro Napoleone, venne usata come modello per la croce di ferro, la onorificenza concessa ai soldati prussiani che parteciparono alle campagne antifrancesi. Questo valore simbolico si protrasse alla prima e alla seconda guerra mondiale divenendo l’elemento di continuità tra i Teutonici, la Prussia e Hitler.
Il film è quello del regista sovietico Sergej M. Ejzenstejn distribuito nel 1938 con il titolo Alexander Nevskij secondo cui i cavalieri teutonici sarebbero stati i campioni del mondo germanico in contrapposizione al mondo slavo, e i «bisnonni di Hitler», anche se è ampiamente documentato come l’Ordine teutonico fosse stato un fiero oppositore del regime nazista specialmente per la strumentalizzazione dei suoi simboli schierando addirittura alcuni dei suoi membri, appartenenti alla migliore aristocrazia, nel movimento di resistenza. Lo stesso Hitler decretò a sua volta la soppressione dell’Ordine.
Il romanzo è dovuto alla penna di uno scrittore polacco insignito del Premio Nobel nel 1905 più conosciuto per il celebre Quo vadis? che non  per i Cavalieri della Croce (1900) dedicato proprio ai Teutonici, espressione del fiero nazionalismo polacco che considerò l’Ordine Teutonico come un antenato dello Stato prussiano-tedesco in cui, dopo la creazione dell’Impero nel 1870-71, era stata inglobata la Polonia occidentale a differenza di quella orientale annessa all’Impero russo.
Si comprende allora come la storiografia riguardante l’esperienza politica dei Teutonici, che approdò alla formazione di uno Stato nazionale da cui nacque poi lo Stato prussiano, fosse stata fatalmente condizionata da queste vicende mettendo in sordina l’autentico spirito delle origini che era stato quello di sovvenire e di proteggere i pellegrini tedeschi in Terra Santa con la creazione di un Ospedale a Gerusalemme. Che poi l’Ordine per tutto il Medioevo fosse stato una consistente realtà economica, un vero potentato sovrannazionale, una sbalorditiva forza militare, molto spesso determinante nella risoluzione dei conflitti tra papato e impero, è un dato ormai sicuro e incontrovertibile.
Era allora del tutto naturale che i gran maestri che detennero il governo di questa realtà militare-cavalleresca venissero spesso in contatto con sovrani e pontefici, come, ad esempio, con Federico II, cioè con un imperatore nelle cui vene scorreva sangue tedesco ancorché temperato da una arricchente ascendenza genetica siculo-normanna.
Tra le tante aree geografiche fu proprio la Capitanata a divenire uno degli scenari in cui i rapporti tra Federico II e i cavalieri teutonici registrarono il massimo tono di incontro e di collaborazione a cominciare dal primo viaggio dell’imperatore in Puglia all’indomani delle assise di Capua in cui vennero delineati i nuovi assetti del regno. Un tramite privilegiato era stato certamente un eccezionale gran maestro dell’Ordine, Ermanno di Salza, tedesco come Federico II, ma proveniente da un’altra regione, la Turingia, sotto il cui governo l’Ordine registrò una grande espansione e assunse una rilevanza internazionale.
Giustamente definito il più grande politico alla guida dell’Ordine teutonico, sempre oscillante tra il papa al quale come religioso lo legava il voto di fedeltà e l’imperatore al quale offrì con trasparente dedizione la sua più tersa collaborazione, Ermanno condivise emblematicamente il momento di rottura tra i due massimi poteri della Cristianità abbandonando la scena terrena il giovedì santo del 1239, giorno in cui fu emessa la sentenza di scomunica contro l’imperatore svevo.
Ancora oggi della presenza di quest’Ordine religioso-cavalleresco che segnò la storia del Mediterraneo e dell’Europa rimangono proprio in Capitanata due significative testimonianze monumentali: l’imponente Torre Alemanna nelle campagne di Cerignola e la chiesa di San Leonardo con l’annesso ospedale nella piana di Siponto. Ad esse tra ‘800 e ‘900 si diressero in una sorta di continuità con il passato e di riappropriazione della memoria alcuni insigni studiosi tedeschi: i loro nomi, per citarne alcuni, sono Ferdinand Gregorovius, Arthur Haseloff, Eduard Sthamer che denunciarono lo stato di abbandono e di precarietà della strutture superstiti.
Oggi, grazie a un’insistita campagna di restauro, condotta dalla soprintendenza e dalle istituzioni pubbliche locali, guarderebbero con ammirato stupore a questo lembo superstite di Italia teutonica.
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