L'intervista

«Sembra un tour vero»... e fa tappa anche in Puglia: Molfetta aspetta Andrea Cerrato, il cantautore che ha lasciato tutto per la musica

Bianca Chiriatti

Dopo il successo online e anni da solista, l’artista riparte dal palco e dal nuovo singolo, «Nascondigli». L'appuntamento pugliese l'8 novembre

«Sembrava un concerto vero!». Ad Andrea Cerrato, cantautore e content creator, questa frase pronunciata da un amico dopo il suo primo giro sui palchi dei club italiani è rimasta impressa, tanto da spingerlo a intitolare «Sembra un tour vero» quello che parte il 6 novembre dai Magazzini Generali di Milano (sold out), e che sabato 8 farà tappa in Puglia, all'Eremo di Molfetta (Ba) [biglietti su Ticketmaster]. Un modo per sdrammatizzare, alleggerire il peso delle aspettative, in linea con il percorso di vita e professionale di Andrea, che nel 2015, a 30 anni, ha lasciato il lavoro in un'agenzia di comunicazione per dedicarsi completamente alla musica, a cui si era già avvicinato da giovanissimo fondando la band cocKoo (hanno due album all'attivo). Con la band al completo sarà anche sul palco in questo tour, che arriva in contemporanea con l’uscita del nuovo singolo, Nascondigli, fuori per ZOO DISCHI/ADA Music Italy, scritto insieme a Pietro Cuniberti che ne firma la produzione con Etta, unendo sfumature elettroniche, suoni pop-rock degli anni Duemila e una scrittura intima e sincera.

Andrea, come sta vivendo questi giorni prima del debutto, a che punto siete?

«Siamo proprio nel pieno dell’allestimento: per me è un ritorno alle origini, sono nato musicalmente con una band, quella classica venuta su dai banchi di scuola. Poi una lunga parentesi da solista, e adesso è bellissimo tornare a condividere il palco con altri musicisti: le prove, i pranzi insieme, i momenti di pausa. È una condivisione molto umana, che sono sicuro si respirerà anche sul palco».

Da dove arriva tutta questa energia che la spinge a continuare, stagione dopo stagione?

«Lo scorso anno è stato il primo in cui, dopo tanta gavetta, ho iniziato a vedere persone che venivano al miei concerti, solo per me. Prima, quando suoni ovunque, devi conquistarti il pubblico; ora senti di dover soddisfare le aspettative. Il mio obiettivo è restituire qualcosa alla community che mi segue, offrendo ogni volta il miglior concerto possibile».

Un approccio ironico ma anche molto umano. A proposito di umanità: il nuovo singolo, Nascondigli, affronta un tema importante, quello degli attacchi di panico, ma con uno sguardo di speranza. Come è nata questa canzone?

«Cerco sempre di inserire una riflessione ottimistica anche nei brani che toccano temi difficili. Nascondigli è nato in un momento in cui mi stavo aprendo agli altri, anche nel modo di scrivere e produrre. Dopo il Covid avevo fatto tutto da solo, ma nel 2025 ho iniziato a collaborare di più, in questo caso con due produttori, Etta e Pietro Cuniberti, che vengono da mondi diversi: uno più elettronico, l’altro più punk. Dall’unione dei nostri stili è nata questa canzone, con un sound diverso dal solito, ma che sento molto mio».

Il brano suona infatti molto pop-rock, quali sono gli artisti e i generi che l'hanno ispirata di più?

«Sono cresciuto con il rock: Jimi Hendrix, Jeff Buckley, Led Zeppelin — da chitarrista quella era la mia base. Però ho sempre amato il pop di quegli anni: tutto quello che scriveva Max Martin, dai Backstreet Boys alle Spice Girls. Oggi ascolto davvero di tutto, non mi piace essere snob. Mi considero un ascoltatore onnivoro».

Nei suoi lavori si percepisce una grande voglia di sperimentare, ma anche una forte coerenza. Quanto è importante trovare un equilibrio tra novità e autenticità?

«È importantissimo. Avendo un passato da grafico, ho una certa ossessione per la brand identity. Cerco di essere coerente, pur accettando che come persona io cambi nel tempo. Scrivo cose diverse, uso linguaggi diversi, ma cerco sempre di inserirli in un percorso che abbia un colore riconoscibile. Sono molto attento ai dettagli — dai video alle immagini — forse un po’ per deformazione professionale».

Dieci anni fa ha deciso di lasciare il lavoro per dedicarsi completamente alla musica. Qual è stato il momento della svolta?

«Non so se ci sia stato ancora. So solo che quando ho deciso di cambiare vita avevo trent’anni, e in questo mondo a quell’età ti considerano già “fuori tempo massimo”. All'inizio è stato un limite, ma oggi sta diventando un punto di forza. Sono l’esempio di qualcuno che ha iniziato “da grande” e sta riuscendo a costruire un percorso solido in modo indipendente. Il messaggio che vorrei trasmettere è: “Ce la si può fare”. E quando ho capito che questa cosa arrivava alle persone, ho sentito che tutto aveva un senso».

Cresciuto anche sui social, ma con una maturità diversa da quella di tanti creator più giovani. Se dovesse ricominciare oggi, cambierebbe qualcosa nel suo modo di usarli?

«Forse no. È vero che se fossi cresciuto oggi avrei influenze diverse, ma sul piano dei social mi sento ancora molto “sul pezzo”. Mi piace sperimentare, sono un po’ nerd da questo punto di vista. Forse la mia unica paura è quella della credibilità: fino a che punto posso continuare a essere autentico anche quando avrò 50 anni? Non voglio diventare quello che “non sa più quando fermarsi”. Se un giorno dovesse succedere, scrivetemi pure: “Andrea, sei poco credibile!”. Così capirò che è ora di ritirarmi! (ride, ndr.)».

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