L'intervista
Jazz, Fabrizio Bosso torna in Puglia e «rilegge» Stevie Wonder
Con il suo quartetto domani sera a Fasano e sabato a Bari
Non poteva mancare la Puglia nella tournée di We Wonder, la rilettura in jazz del songbook di Stevie Wonder firmata da Fabrizio Bosso che, dopo aver visto la luce su un cd della Wea, adesso è anche un applauditissimo concerto. Il trombettista torinese sarà domani a Fasano, alle 21 al teatro Kennedy, con il suo quartetto formato da Julian Olivier Mazzariello al pianoforte, Jacopo Ferrazza al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria. Sabato 4, Bosso sarà a Bari per un concerto al Teatro Forma (21,30). L’appuntamento fa parte della stagione dell’associazione Fasanomusica (info 080.433.10.92).
Bosso, cosa c’è alla base della scelta di Stevie Wonder e come ne ha selezionato il repertorio?
«Stevie Wonder lo ascoltavo sin da piccolo e ho mosso i miei primi passi musicali improvvisando con la tromba anche sui suoi dischi. Poi, crescendo, mi sono reso conto della sua genialità anche come compositore. Mi ha sempre colpito la sua padronanza dei diversi stili musicali, dal soul al jazz al pop; basti dire che apre alcuni concerti con “All Blues” di Miles Davis. Le scelte sul repertorio le abbiamo fatte insieme nel quartetto, con il contributo di tutti. Abbiamo cercato di immaginare come portare la sua musica nel nostro mondo, perché alla fine il nostro è sempre un concerto di jazz. Ho pensato a una scaletta che potesse funzionare bene anche dal vivo».
Il disco è edito dalla Wea, una major internazionale. Ci sono stati riscontri da parte di Wonder, è al corrente della registrazione?
«Pare che stiano trovando il modo di fargli arrivare il cd, lo spero tanto. Un mio grande sogno è poter fare due note con lui, anche in camerino, oltretutto non l’ho mai nemmeno ascoltato dal vivo. Se mai lo ascolterà, spero gli possa piacere».
Quali riscontri sta avendo tra vendite e concerti?
«Il tour sta andando bene e il disco ha avuto molta promozione in radio. Dal vivo abbiamo debuttato a Roma, al Parco della Musica nella Sala Sinopoli, 1200 posti tutti esauriti. Diciamo che anche per chi non è del jazz, riconoscere melodie note può essere più bello».
A questo proposito, parliamo del suo rapporto con il mondo della canzone italiana. Ha al suo attivo delle collaborazioni importanti ed è stato più volte ospite a Sanremo. Crede che questi incontri favoriscano l’avvicinamento al jazz da parte del pubblico o pensa invece che ne possano offrire un’immagine troppo edulcorata?
«No, sono dell’avviso che aiuti assolutamente. Dopo il primo Sanremo con Sergio Cammariere, abbiamo fatto dei concerti assieme e, alla fine, mi sono ritrovato col suo pubblico che veniva anche ai miei concerti. In genere sono operazioni che funzionano, se vengono realizzate bene. Oggi è proprio il pubblico del pop a comprare per primo i miei dischi».
Nel panorama del jazz italiano lei è tra i solisti che conservano il rapporto più solido con la scuola americana. Come giudica la scena contemporanea e quali sono le cose che le sembrano più interessanti?
«Ci sono dei solisti che amo particolarmente come ad esempio Ambrose Akinmusire, del quale apprezzo anche il modo in cui scrive la musica. Ci sono tante cose intriganti che vengono dall’America, gente che lavora sui tempi dispari, giovani concentrati sulla scrittura di una musica che magari non è immediata, ma che serve, perché è bene che ci sia molta ricerca. Poi però dobbiamo anche essere consapevoli che non è molto facile inventare novità in questo momento storico».
A Fasano suonerà con il suo quartetto, un gruppo talmente longevo da essere quasi una mosca bianca nel panorama jazzistico.
«È vero. Con Mazzariello, ad esempio, suono da oltre vent’anni e anche con Ferrazza e Angelucci il legame è antico e solido. Continuo a lavorare con loro perché sono i musicisti che mi permettono di sfruttare al meglio il mio potenziale; la nostra intenzione è di ottenere sempre un preciso suono d’assieme. Io poi non sono come il solista leader che deve stare su un gradino più alto rispetto agli altri, ma voglio che tutti abbiano gli stessi spazi e le stesse responsabilità. Posso farlo perché sono tutti fortissimi e ci cementa l’amicizia: stiamo bene assieme fuori dal palco e poi in scena».
All’inizio della sua carriera, lei è stato preso sotto l’ala protettiva di alcuni colleghi anziani, tra i quali il sassofonista Gianni Basso. Al di là dall’ovvia raccomandazione di studiare, cosa consiglierebbe oggi a un trombettista alle prime armi che volesse accostarsi a questa musica?
«Di essere curioso, di non fissarsi con un solo modello. Per creare un proprio linguaggio serve prepararsi bene sullo strumento come prima cosa. Musicalmente però serve la curiosità, saper ascoltare anche ascoltare anche i sassofonisti, i pianisti, non solo i trombettisti, perché si impara da tutti. Serve tanto studio e voglia di prendere dei rischi».