Ali e radici

Jazz, il bepop «elettrico» rileggendo Charlie Parker

Ugo Sbisà

È il nuovo cd del pianista Colombo, già docente a Bari

Il nome del pianista milanese Massimo Colombo risulta particolarmente familiare ai jazzisti baresi grazie agli anni nei quali è stato docente del Dipartimento di musica jazz del Conservatorio «Piccinni». Anni artisticamente fruttuosi se si considera che l’hanno visto anche impegnato in un bel trio con due colleghi - musicisti e docenti - quali il «nostro» contrabbassista Maurizio Quintavalle e il batterista Enzo Zirilli, anch’egli a suo tempo «adottato» dal jazz barese. E non meno pregiati sono stati i momenti nei quali Colombo si è impegnato progettualmente con artisti pugliesi, come è accaduto nel caso della bella rilettura orchestrale di «West Side Story» andata in scena a Bari pochi mesi fa per la stagione del teatro Abeliano.

Legami quelli con Bari, radici appunto, che legittimano il parlarne in questa rubrica a proposito di un suo nuovo progetto discografico che lo vede impegnato da solo e in trio con il grande Peter Erskine alla batteria - leggendario maestro dello strumento - e con al contrabbasso Chuck Berghofer, un anziano jazzman del Colorado che potrà forse dir poco alla maggior parte degli appassionati, ma che vanta collaborazioni prestigiose che partono dagli anni del jazz californiano con Shelly Manne e Conte Candoli e si estendono a nomi non necessariamente legati al jazz come quelli di giganti quali Elvis Presley, Frank Zappa e Frank Sinatra.

Electric Parker (ed. Oracle Records) è il titolo di questo nuovo cd che dopo Powell to the People, a suo tempo dedicato al repertorio di Bud Powell, torna sul terreno del bebop per rendere omaggio a colui che del movimento fu il geniale creatore, appunto Charlie Parker.

Ma appunto, come recita il titolo, non ci troviamo di fronte all’ennesimo omaggio in stile, bensì a una rilettura che ammanta il mondo di Bird e della sue composizioni di sonorità elettriche che hanno la capacità di renderle futuribili, pur senza mai snaturarle. E la scelta si rivela interessante, perché Parker - un po’ come è accaduto per il Miles Davis degli anni elettrici, ma non solo - sembra essere ancora oggi un tabù o, meglio ancora, un solista e autore da rievocare nel rigoroso rispetto degli stilemi del bebop, al di fuori dei quali sembra che ogni diversa prospettiva possa configurarsi come un delitto di lesa maestà. E la cosa risulta ancor più stridente se si considera che, ormai quasi ottant’anni dopo, la strada indicata dal bebop resta fra le più battute anche dalle nuove generazioni.

Intendiamoci, Colombo - che nel disco suona solo e in trio - non dissacra né stravolge, talvolta anzi si limita a fare affidamento sulle sonorità del Fender Rhodes e di qualche intelligente, discreta sonorità campionata, ma l’idea, il «gesto» verrebbe da dire, finiscono per assumere una portata quasi tristaniana, giusto per citare un altro maestro del passato a lui molto caro.

E il risultato, se da una parte rimarca la genialità di Parker, la cui musica conserva il proprio impatto in qualunque veste, dall’altra dimostra come le sonorità «contaminate» non siano mai da rigettare quando vengono adoperate con gusto e intelligenza.

Dei brani in solo, s’impongono le letture labirintiche di Scrapple from the Apple o Barbados, con vaghi colori dub, mentre Billie’s Bounce si ammanta di sonorità spaziali.

Passando al trio, invece, si impongono tra gli altri Segment, il sinuoso Donna Lee e il danzante My Little Suede Shoes, ma l’intera scaletta, da Confirmation a Moose the Mooche, da Yardbird Suite a Blues for Alice, si fa gustare per originalità e incisività.

Il cd merita allora un ascolto attento e in parte anche compiaciuto all’idea che Colombo non abbia reciso del tutto i legami con il mondo del jazz pugliese.

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