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Ugo Sbisà
26 Maggio 2020
Aldo Bagnoni è un batterista di lungo corso, formatosi in una stagione - gli Anni ‘70 - caratterizzati da un mondo giovanile onnivoro, pronto a consumare ciò che odorasse di nuovo, senza badare troppo alle distinzioni, tranne poi a metabolizzare tutto ricollocando ogni cosa al suo posto, sia pure con nuove consapevolezze. E questo suo venire da lontano certo non gli fa sfuggire che The Connection, il titolo scelto per il suo nuovo album edito da AlfaMusic, ha un precedente storico nell’omonimo, celebre testo teatrale di Jack Gelber, portato in scena nel 1959 dal Living Theatre e arricchito, un anno più tardi, dalla bella colonna sonora jazzistica scritta dal pianista Freddie Redd e immortalata da un bell’album della Blue Note.
In questo caso, però, la connessione cui fa riferimento Bagnoni è di tutt’altro genere e sebbene ormai la parola ci rinvii sempre più a un mondo fatto di tecnologia e di contatti virtuali, nelle intenzioni del Nostro vuole invece aprirsi a quel novero di rapporti umani che, a maggior ragione in un’epoca scandita dal «distanziamento sociale», vogliono recuperare il loro più profondo senso di contatto fisico e spirituale fatto di gesti, di sguardi che sono il vero e unico ponte per la più genuina trasmissione del pensiero.
Ecco allora che l’album diventa un intinerario nel quale, attraverso una predilezione per i tempi medi, il jazz appare la bussola per orientarsi nelle musiche del mondo, nel folklore del nostro Sud e si arricchisce di aromi di tango, fino a sconfinare brevemente nei territori dell’atonalità.
Per questo suo viaggio, Bagnoni, che pur barese ha scelto di risiedere e agire fra la Murgia e il Materano, ha impegnato tre eccellenze del panorama salentino come il pianista Mauro Tre, il sassofonista Emanuele Coluccia e il contrabbassista Giampaolo Laurentaci. Dieci in tutto i brani, nove dei quali a firma di Bagnoni e uno, Lipompo’s Just Arrived basato sulla rilettura di un tema popolare lucano.
Apre e chiude la scaletta Clarabella, un pezzo dedicato al personaggio di Walt Disney e caratterizzato da profumi di milonga, pur senza qualche fuggitivo lampo balcanico che ne permea la melodia. Nell’epilogo, poi, la ripresa è considerevolmente diversa e impiega il leader persino un una sorta di «recitarcantando».
Cappello eolico è memore di molto jazz degli Anni ‘80, dai Lingomania agli Steps Ahead, mentre This Is My Place è una ballata contemporanea ben scolpita dal plastico tenore di Coluccia. Di Eternal Returns si apprezza il tema obliquo e danzante; The Dolmen and the Sea introduce in una pacata atmosfera latin che non manca di rinvigorirsi in un bel crescendo espressivo; ancora nel campo delle ballad ci si muove con Heart on a Mountain, mentre Oral Culture, dopo un avvio molto libero, converge su un terreno più jazzistico nel quale il gioco fra il tema e la batteria sembra quasi ispirato al celebre Freedom Jazz Dance. Infine What Was I Looking For si apprezza per il suo canto dolente che si libra su un tempo ternario.
Album di buona fattura, The Connection dimostra quanta musica di qualità sia ancora possibile fare - e ascoltare - mettendosi in pace con se stessi e seguendo la propria stella polare senza furbizie, ma con grande onestà intellettuale. Tratto distintivo, quest’ultimo, di tutta l’attività di Bagnoni che ha sempre preferito restare ai margini di certa scena concertistica, pur di non scendere a compromessi.
Sin qui l’uomo e il suo intelletto; riguardo al musicista, accanto a un linguaggio strumentale completo e maturo, se ne apprezza la felice vena compositiva. E di questi tempi, non è assolutamente poco.
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