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Paolo Izzo, Roma
26 Luglio 2016
Molti di noi vorrebbero vivere in uno Stato che sia il primo a rispettare le regole che si è dato, che sia cioè esemplare. Uno Stato efficiente, trasparente, che non ruba e che non imbroglia, rassicurerebbe quei tanti cittadini che confidano nel vivere civile. Tuttavia l'utopia si sgretola quando ci troviamo di fronte a istituzioni che negano diritti fondamentali, restano indifferenti alle aberrazioni o, peggio ancora, vi partecipano come mandanti o complici. In questo caso, però, avviene anche un fatto bizzarro: la moltitudine «civile» di cui sopra si riduce. E rimangono in pochi a pensare che un carcerato abbia gli stessi diritti di chiunque, un immigrato abbia il diritto di non annegare o un malato terminale voglia finire i suoi giorni sofferenti. E quindi uno Stato «tecnicamente criminale», persino in «flagranza di reato» - espressioni usate da Marco Pannella con ossessione sfiancante ma necessaria - che una Corte sovranazionale addirittura condanna per tortura e violazione dei diritti umani, paradossalmente riconquista a sé le truppe di cittadini «disturbati» che pochissimi, con la loro richiesta di diritti, possano causare il ritardo del proprio bus o del caffè al bar sotto casa.
Paolo Izzo, Roma
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