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Luigi Andriani, Università di Cambridge
27 Giugno 2016
I nostri dialetti hanno determinato e continuano a determinare, fra le tante cose, la pronuncia dei nostri italiani regionali/locali. La pronuncia dell'italiano standard è artificiale, vale a dire che non è basata su nessuna varietà linguistica parlata in Italia. È un sistema studiato a tavolino, quindi va imparato. Ma da qui a dire che la dialettofonia possa impedire la corretta dizione dell'italiano standard, ce ne passa. Contrariamente a quanto si è pensato fino a 60 anni fa, ogni cervello umano è perfettamente in grado di gestire più sistemi linguistici contemporaneamente; data la sede, non mi addentro neanche nella questione dei numerosissimi benefici del plurilinguismo. Il 'problema' – se proprio così vogliamo definirlo – della pronuncia dell'italiano regionale/locale non si può risolvere imponendo un corso di dizione a dei bambini i quali non avrebbero un riscontro quotidiano pratico della tanto agognata pronuncia standard. A mio modesto avviso, quello che ci serve non è altro che un'educazione alla nostra complessa realtà linguistica, che è unica al mondo, ma di cui sono riusciti a farci vergognare. A scuola, avrei preferito che l'insegnante mi avesse fatto capire quanto fossi fortunato a parlare due lingue sin da bambino. Stranamente, solo nell'evoluto Occidente si tende al monolinguismo, mentre nel resto del mondo il plurilinguismo è la norma. Poi, avrei preferito che mi fossero state spiegate (perché no, in chiave comparativa) le caratteristiche salienti (simili e/o contrastanti) di queste due lingue, di modo da poterle – e saperle – gestire con coscienza e sistematicità, come lo si (cerca di) fa(re) con l'inglese o con il latino. Così si dovrebbe educare: meravigliando, non imponendo.
Per quanto riguarda l'interpretazione della comunicazione, assicuro che, anche se la forma non è quella standard, il contenuto rimane assolutamente valido e intelligente, soprattutto in questo Sud.
Luigi Andriani, Università di Cambridge
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