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Educare alla genitorialità consapevole per un’educazione affettiva

Emanuela Megli

Più le esperienze saranno positive, di supporto e di fiducia verso il riferimento affettivo, più sarà possibile che il piccolo compia i passi per la distinzione e la fase successiva di individuazione.

L’educazione affettiva non si base su norme, prescrizioni, moniti, indicazioni e istruzioni per l’uso. Poiché il funzionamento del nostro organismo è complesso ed è fatto di processi consci e inconsci che si sviluppano parallelamente sul piano biologico e su quello psicologico. I bambini in età evolutiva hanno un bisogno profondo di relazione, di carezze, abbracci, di comunicazione, poiché queste pratiche sono costitutive del suo sviluppo biopsicologico e psicobiologico. Ovvero, l’aspetto psicologico, basato sul funzionamento cerebrale e neurologico, necessita di scene (rappresentazioni) e sequenze di scene contingenti e di sfondo che consentono un’evoluzione sana e senza interruzioni, ovvero carenze e perdite o traumi e psicomicrotraumi, che si vanno accumulando anche in forma latente nel tempo (Frateschi, 2021, 2025). In assenza di questi contesti e dinamiche, il bambino non matura una condizione di sviluppo del sé, della sua identità e personalità, poiché già in fase di rappresentazione della vita (soprattutto agita durante il gioco), ha una scarsità di esperienze di affetto, di attaccamento sicuro (base sicura e porto sicuro) a cui riferirsi (Bowlby, 1989). Dallo stadio di dipendenza assoluto dalla madre in tenera età, il bambino necessita di distaccarsi gradualmente anche attraverso la distinzione da essa, passando da un piano immaginario al piano reale. E più le esperienze saranno positive, di supporto e di fiducia verso il riferimento affettivo, più sarà possibile che il piccolo compia i passi per la distinzione e la fase successiva di individuazione. Nel vuoto di riferimenti, dovuto alla incuria educativa e alle esperienze di trascuratezza emotiva, il bambino è più facilmente esposto alla ricerca di fonti di appagamento del suo istinto/bisogno di compensazione. In età adolescenziale, la disponibilità di stimoli, tra i quali il gioco nel mondo virtuale, lo espone al disagio. Egli apprende che la soddisfazione al proprio stimolo è immediata e tende a ricercare sempre più tale gratificazione dalla fonte immediatamente disponibile. Ma nel gioco virtuale, il ragazzo, non ancora in grado di distinguere il piano di realtà dalla rappresentazione, entra in circuito pericoloso in cui non è più padrone della scena e delle sue rappresentazioni, che gli vengono fornite in automatico e in continua profusione. Mentre nel gioco reale, fatto di tempi più lenti e di intervento creativo e trasformativo della materia degli oggetti di gioco e di divertimento, egli è attivo ed elabora e costruisce il proprio modo di stare al mondo (Winnicot, 1971). Nel virtuale egli è un soggetto passivo, dipendente dal gioco e dallo strumento studiato e ideato allo scopo di non farlo mai smettere di giocare attraverso l’impulso e lo stimolo infinito. Qui il bambino o adolescente che non ha ancora definito in modo chiaro e permanente la sua personalità e l’autocontrollo, perde il senso del proprio limite e del proprio confine (Frateschi, 2021), sperimentando un’illusione di grandezza e di piacere, che però attribuisce all’oggetto (il gioco virtuale). Da qui inizia una sorta di scollamento dal mondo reale e una dipendenza dall’oggetto del piacere, che anestetizza emozioni e sentimenti e genera calma e appagamento. Tuttavia, il soggetto nel gioco, perde progressivamente la capacità di socializzazione e di confronto con realtà, vivendo uno scollamento dal proprio sé. in questo modo, lo schema si replica, nelle circostanze di vita, in cui egli è esposto alla necessità di compensazione di quel bisogno primario non ricevuto in modo sufficiente, diventando potenzialmente oggetto a sua volta, alla mercè di figure soggetto-oggetto in grado di rifornirlo. Arrivando al desiderio di appagare quel bisogno a qualunque costo, agendo attraverso un rapporto oggetto-oggetto, senza una capacità di discernimento empatico e sentimentale, scivolando nella propria realtà immaginaria, che non incontra quasi mai e non attraversa la realtà, che richiede la gestione delle emozioni di frustrazione e gratificazione da soggetto attivo e responsabile. Nella relazione sana ed equilibrata si giocano tutti i diritti della persona, che non sono solo un proclama, ma un nascono da bisogni profondi psicoevolutivi dell’individuo. Non soddisfarli sarebbe come pretendere che la pianta crescesse senza acqua, che l’uomo respirasse senza aria. Allo stesso modo l’essere umano non diventa persona se non viene amato, desiderato curato, dalle figure genitoriali di riferimento. Cresce l’organismo biologico, ma non evolve la sfera deputata ad un programma interno equilibrato che fa di esso un essere umano.

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