L'industria italiana nelle mani straniere
09 Agosto 2004
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In particolare sul campione esaminato, le imprese a controllo estero (quelle cioè con azionisti di controllo stranieri) sono 570 e coprono il 29% del fatturato, impiegando il 27,4% della forza lavoro del campione. Più forte è la quota nell'industria manifatturiera (37% del totale), a fronte di quella nell'energia (23,1% soprattutto raffinazione petrolifera) e del terziario (13,8%).
Nell'industria manifatturiera, le società straniere in particolare, sono presenti nei settori a maggiore rilevanza tecnologica come la chimica-farmaceutica dove possiedono una quota del 60% del fatturato, e il meccanico elettronico (36% del fatturato). Ma rilevante è anche la presenza in uno dei settori di punta del Made in Italy come l'alimentare e bevande (39% del totale e 38% degli addetti). Meno importante è la presenza nel comparto dei beni per la persona e la casa (tessile, abbigliamento, calzature, gioielli, legno e mobili) con il 17%, anche per la forza delle Pmi italiane in questo comparto.
Le società a controllo straniero, secondo l'analisi di Mediobanca, hanno inoltre mostrato un maggiore slancio nella crescita dei ricavi. A fronte di un -0,2% dell'industria manifatturiera, infatti, le imprese "estere" hanno visto salire il proprio fatturato dell'1,1% nel 2003 grazie soprattutto alle vendite in Italia (+2,6%), mentre l'export, pur negativo (-1,6%) ha mostrato una maggiore tenuta rispetto al -2,7% del dato globale dell'industria. Anche sul fronte della forza lavoro, le società a controllo estero hanno invertito l'emorragia del 2002 con un saldo negativo di 258 unità contro i -24.221 del totale del campione delle 1945 imprese.
Per quanto riguarda gli investimenti, le società a controllo estero si posizionano dietro il tradizionale motore delle medie imprese. Su un totale di 19,797 miliardi (a prezzi costanti il livello più basso del decennio) le società a controllo estero hanno totalizzato quota 3,9 miliardi, in calo ma mantenendola a un livello superiore tra il 20 e il 30% a quello di 10 anni prima.
All'analisi dei risultati economici le imprese a controllo estero mostrano un diminuzione degli utili da 4,052 a 1,54 miliardi di euro, controcorrente rispetto al campione generale, a causa del saldo negativo delle poste non ricorrenti (il cui saldo era stato positivo nel 2002). Se si esamina il risultato corrente infatti si passa da 6,671 a 6,581 miliardi. Secondo l'analisi di Mediobanca inoltre la tassazione su questo tipo di società rimane più elevato (33,9%) rispetto alle media delle 1.945 società (29,6%) anche se «non molto distante da quello medio delle multinazionali europee, circa il 33% nel periodo 1999-2002».
Limitato, ma a causa del flusso finanziario provenienti dalle case madri, i debiti finanziari, che sono ammontati a 6,6 miliardi su un totale di 39,7 nel triennio 201-2003. Più significativo invece il dato sul rendimento medio del capitale (margine operativo netto più proventi finanziari/capitale investito) che, pur in flessione al 9,2%, mostra una maggiore tenuta rispetto a quelli medi aggregati (manifattura 8% contro 6,5%, terziario 14,1% contro 9,9%). Nella creazione di valore l'industria a controllo straniero distrugge valore (-1,7%) ma meno di quella a controllo italiano (-2,7%).
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